Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/191

Da Wikisource.

i - frammenti di un romanzo autobiografico 185


nel mio giornale. Conoscendo la mia e la universale scelleratezza, ho d’uopo, per guardarmi, [di] sapere le leggi che mi condannano e mi proteggono [e di avere alcune migliaia d’uomini interessate a difendermi dall’aviditá e dall’orgoglio del mio vicino]1. Ogni sventura, che mi succede in un paese straniero, mi [ricorda?] gli antichi amici, le benedizioni e gli addio della mia povera madre e il pacifico piacere di temprare, come suol dirsi, il verno al proprio foco. Chi è quell’italiano che, tornando a casa, non senta, scendendo dalle alpi, l’aria piena di vita e di salute, e non dica con lacrime di gioia: — Beato colui che possiede in questa terra un riso (?), un amico (?), una sposa e un raggio di fortuna!

Pare che la natura ci abbia costruito il corpo fisico per vivere solamente dove siamo nati.

Mi sovviene del povero svizzero.

I numi festeggiavano un giorno in un convito celeste il ritorno di Venere dagli oracoli d’Amatunta. Per onorare la dea, ciascuna dell’altre dive ornò le Grazie del proprio pregio. La Grazia, cui Diana concesse il pudore, fu adorata dai mortali come la primogenita e la piú bella.

[Lettore, se vuoi terminare la lettera, salta questo paragrafo che non c’entra.

«Immergendomi in quel laghetto, io cantava un inno alla natura ed invocava le ninfe, amabili custodi delle fontane. — Illusioni! — grida il filosofo. E non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi, che si credevano [degni] degli abbracciamenti delle dive, che sacrificavano alla bellezza e alle Grazie, che diffondevano lo splendore della divinitá su le imperfezioni dell’uomo, e che, accarezzando gl’idoli della lor fantasia, trovavano il bello ed il vero».

Parole dello sfortunato amico mio Iacopo Ortis. Siegue la lettera.]

  1. Le parole racchiuse nelle parentesi quadre si leggono nel margine dell’autografo [Ed.].