Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/20

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14 iv - seconda redazione delle


è giustiziato non per altro se non perché è misero; dove un dí o l’altro verranno tutti ad abitare con me e a rimescolarsi nella materia, sotterra.

Aggrappandomi sul dirupo della vita, sieguo un lume ch’io scorgo da lontano e che non posso raggiungere mai. Anzi mi pare che, s’io fossi con tutto il corpo dentro la fossa e che rimanessi sopra terra solamente col capo, mi vedrei sempre quel lume fiammeggiare sugli occhi. O Gloria! tu mi corri sempre dinanzi, e cosí mi lusinghi a un viaggio a cui le mie piante non reggono piú. Ma dal giorno che tu piú non sei la mia sola e prima passione, il tuo risplendente fantasma comincia a spegnersi e a barcollare..., cade, e si risolve in un mucchio d’ossa e di ceneri, fra le quali io veggo sfavillar tratto tratto alcuni languidi raggi: ma ben presto io passerò camminando sopra il tuo scheletro e sorridendo della mia delusa ambizione. Quante volte, vergognando di morire ignoto al mio secolo, ho accarezzate io medesimo le mie angosce, mentre mi sentiva tutto il bisogno e il coraggio di terminarle! Né avrei forse sopravvissuto alla mia patria, se non mi avesse rattenuto il folle timore che la pietra posta sopra il mio cadavere non seppellisca ad un tempo il mio nome. Lo confesso: sovente ho guardato con una specie di compiacenza le miserie d’Italia, poiché mi parea che la fortuna e il mio ardire riserbassero a me solo il merito di liberarla. Io lo diceva ier sera al Parini...

Addio: ecco il messo del banchiere che viene a prendere questa lettera; e il foglio tutto pieno mi dice di finire. Ma ho a dirti ancora assai cose: protrarrò di spedirtela sino a sabbato, e continuerò a scriverti. Dopo tanti anni di sí affettuosa e leale amicizia, eccoci, e forse eternamente, disgiunti. A me non resta altro conforto che di piangere teco scrivendoti; e cosí mi libero alquanto de’ miei pensieri, e la mia solitudine diventa assai meno spaventosa. Sai quante notti io mi risveglio e m’alzo, e, aggirandomi lentamente per le stanze, t’invoco co’ miei gemiti! Siedo e ti scrivo; e quelle carte sono tutte macchiate di pianto e piene de’ miei pietosi deliri e de’ miei feroci proponimenti. Ma non mi dá il cuore d’inviartele. Ne serbo taluna, e molte ne brucio.