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III

FRAMMENTI SU LUCREZIO

Mi abbandono prima degli anni giovanili il dolce spirito delle muse, che primo mi iniziò nelle lettere. Io era appena tinto della lingua latina, e ignaro al tutto della toscana, quando venni di Grecia in Italia; e que’ primi anni della mia gioventú, sebbene circondati da molte miserie, furono nondimeno illuminati dalla musa, e fu il mio ingegno come innaffiato dalla poesia, alla quale tutta l’anima mia si abbandonava. E dal suo amore incitato, tutti lessi in quel tempo e gl’italiani e molti de’ latini poeti; piú assiduamente il padre nostro Allighieri e Omero, padre di tutta la poesia. Cosi mi ravvolsi, senza avvedermi, nelle passioni degli uomini e nello studio de’ tempi e delle nazioni, onde di mano in mano, dopo avere scritti molti ardenti ed ineruditi poemi di ogni specie, m’inoltrai nella storia e nelle dottrine morali e politiche. E la rivoluzione, e l’esilio, per cui non ho né tetto né sepolcro, e la guerra, dove ritrassi lode, prigioni e ferite, ma né sostanze né lustro, mi stornarono per piú anni dalla poesia; ed ora in questa passeggera mia tranquillitá me ne distorna non solo il sentirmi in cuore poche faville di quel primo fuoco, ma e l’abbondanza de’ poeti in Italia ed il secolo meno schivo di filosofia che di versi.

Aggiungi ch’io ho sempre scritto, perché non ho potuto fare, e cercava così di mandar fuori del mio petto un certo fuoco che ruggiva dentro di me, e che cresce con gli anni; onde il cuore mandò sempre i sensi miei all’ingegno, e l’ingegno alla penna: perciò io confesso di avere moltissimo sentito e poco