Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/206

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200 v - scritti e frammenti vari


e le ingiustizie cercano nel cielo il conforto futuro del pianto presente. E gl’infelici fanno in tutti i secoli l’universalitá del genere umano. Quindi questa setta1 epicurea deve essere acconcia a pochi, perché pochi possono accomodarsi a quella filosofía che combatte con la natura. E ben di ciò s’era avveduto Epicuro, che vietava a’ suoi discepoli le pubbliche faccende, perché nelle cose civili e nelle guerre non solo le passioni si eccitano e s’infiammano, ma sono piú facili le sventure, e sempre quasi inevitabili; e le sventure fanno superstiziose anche le anime filosofiche e superbe. Epicureo perfetto era Cassio, ed eccellente guerriero e romano, in tempi assuefatti alle civili battaglie ed alle sanguinose rivoluzioni. Pure, mentr’egli accingevasi ad assalire Cesare con gli altri congiurati, raccontano gli stoici ch’ei, volgendo intensamente gli occhi alla statua di Pompeo, lo invocasse col cuore. Così la fortezza stoica di Bruto non potea preservarlo dal fantasma del suo cattivo genio, col quale parlò dopo l’uccisione di Cesare, e [che] rivide ne’ campi filippici all’ora della morte.

Allego questi esempli d’uomini illustri, perché, essendo i primati dell’umano genere, sentivano quindi in se stessi piú altamente, e per natura e per educazione, tutte le passioni dell’uomo. Che se la religione non fosse né terrore né conforto, ma sola occupazione del nostro cuore, sarebbe nondimeno necessaria, poiché il piú fatale stato dell’uomo è la noia2. La natura ha ricompensato i sudori, la fame e le lagrime dell’agricoltore e

  1. Sopra la parola «setta» nel ms. c’è «massima» [Ed.].
  2. In fine del ms. c’è l’appunto seguente, che si riferisce a questo luogo: «Però, veggendo Epicuro che questa noia ci faceva scorrere di desiderio in desiderio, e di pianto in pianto e [di] fatica in fatica avvicinarsi al sepolcro, riponea tutta la sua felicitá nella indolenza del corpo e dell’animo; e questa beatitudine guatavano (?) i suoi dèi, che né del bene si rallegravano de’ mortali, né punivano i lor delitti.
    «Così pure Cicerone s’imbattè in Macedonia, donde guardava con occhi lacrimosi i lidi d’Italia, s’imbattè in un epicureo, che con [la] sua filosofia s’argomentava a consolarlo.
    «Gli stoici e gli altri filosofi, che vogliono... questa tempesta, cadono (?) sempre quasi in un’altra maggiore, che... tutta la vita, perché combatte con la natura. E poi quanti stoici...» [Ed.].