Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/23

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ultime lettere di iacopo ortis 17


il pubblico danno e la propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtú. E allora? Avrai tu la fama e il valore di Annibale, che, profugo, cercava nell’universo un nemico al popolo romano? Né ti sará dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze ed incauto d’ingegno, come sei tu, sará sempre o l’ordigno del fazioso o la vittima del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato, ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sará abbandonata da’ tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. Ma poniamo che tu, superando e la prepotenza degli stranieri e la malignitá de’ tuoi concittadini e la corruzione de’ tempi, potessi aspirare al tuo intento, di’, spargerai tutto il sangue, col quale conviene nutrire una nascente repubblica? arderai le tue case con le faci della guerra civile? unirai col terrore i partiti? spegnerai con la morte le opinioni? adeguerai con le stragi le fortune? Ma, se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti: giudica, piú che dall’intento, dalla fortuna; chiama «virtú» il delitto utile e «scelleraggine» l’onestá che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla o ingrassarla, e ingannarla sempre. E ciò sia. Potrai tu allora, inorgoglito dalla sterminata fortuna, reprimere in te la passione del supremo potere, che ti sará fomentata e dal sentimento della tua superioritá e dalla conoscenza del comune avvilimento? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno; e per pochi anni di possanza e di tremore, avresti perduta la tua pace e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei despoti. Ti avanza ancora un seggio fra capitani; il quale si afferra per mezzo di un ardire feroce, di una aviditá che rapisce per profondere, e spesso di una viltá per cui si lambe la mano che t’aita a salire. Ma, o figliuolo! l’umanitá geme al nascere di