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DISCORSO QUARTO

della ragione poetica di callimaco

I. Esporrò l’economia di questo componimento, risalendo alla natura della poesia, e specialmente della lirica. Questo poema che, per lo suo metro, corre sotto il nome di «elegia», racchiude quasi tutti i fonti del mirabile e del passionato. È mirabile una chioma mortale rapita da Zefiro alato, per comando di una novella deitá, da pochi anni fatta partecipe del culto di Venere. Mirabile che sia locata fra le costellazioni, che sovr’essa passeggino gli dèi, che all’apparire del Sole ritornisi anch’ella in compagnia di Tetide, e fra i conviti e le danze delle fanciulle oceanine. Ma questo mirabile riescirebbe nullo, ove non fosse appoggiato alla religione di que’ popoli, e poco efficace, se la religione non lusingasse le loro passioni e non ridestasse nell’imaginazione simolacri non solamente divini, ma simili a quelle cose che sono care e necessarie a’ mortali. Onde questa sorte di meraviglia chiude in se stessa anche una certa passione, diversa da quella di cui parleremo dapoi.

II. Leggeri conoscitori dell’uomo sono que’ retori, che, disapprovando la favola e le fantasie soprannaturali, vorrebbero istillare ne’ popoli la filosofia de’ costumi per mezzo di una poesia ragionatrice, la quale si può usurpare bensí nella satira, ove l’acre malignitá, cara all’umano orecchio, quando specialmente è condita dal ridicolo, può talor dilettare1. Ma non

  1.                ............ Nisi quod pede certo
                        differt sermoni, senno merus.

                    Horat., lib. i, sat. iv, v. 77.
                   Verbo togae sequeris, iunctura catlidus acri
                   ore teres modico, pallentes radere mores
                   doctus, et ingenuo culpam defigere ludo.

                    Persius, Sat., v, v. 14.