Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/299

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considerazione quinta 293


perché non v’è verace filosofia, che possa praticamente gittare basi sicure del giusto e dell’ingiusto. All’etá d’Abramo si giurava veritá toccandosi i genitali; uso restato agli arabi moderni. «Sollevò l’egizio la sua camicia, ed, impugnandosi il pene, stava nell’atteggiamento di un iddio giurante per lo Stige. Non intendeva io le sue parole; ma l’atto e il suo volto mi dicevano: — Questo mio terribile sacramento non ti prova la mia innocenza?». — Lettre de l’adjutant-général Jullien, de Rosette en Egypte, le 20 vendèmiaire an VII, iuserita nella Decade egiziana, vol. vii, n° 2; e Genesi, cap. xxiv e xlvii, ove vedi Caimet e Sacy. * Questa formola «Adiuro teque tuumque caput» era famigliarissima a’ greci; onde Giovenale, satira vi, v. 16:

               ... Noncium graeci iurare parati
               per caput allerius.

Ma a torto il satirico morde i greci, ch’ei doveva mordere e gli ebrei (Matth., v, verso 36), ed i romani de’ suoi tempi, che giuravano «per salutem et genium principis», e gli sciti sin dall’etá piú antica «per solium regis, ventum et acinacem» (Luciano in Toxari). Giuramento ch’io trovo pieno di sapienza, e di cui parlerò, poiché a quel luogo i cementatori non parlano. Gli sciti comprendevano in quel giuramento «le leggi, la religione e la forza», dominatrice di tutto quello che vive. La prima parte sta nel «solium regis», ed è da osservare quanto accortamente giurassero piú per la dignitá che per la persona. Il «vento» era dagli antichi preso per l’anima; anzi «anime» sono i venti presso Orazio (lib. iv, od. xiii, 2); * e Lucrezio chiama «anima» l’elemento dell’aria, lib. ii, 715:

          Et qui quatuor ex rebus posse omnia rentur
          ex igni, terra, atque anima procrescere et imbri-;

voce derivante dalla greca ἄνεμος, «vento»: cosí πνεῦμα, «spiritus», e mille altri siffatti: anzi la voce ψυχή, con che piú comunemente da’ greci si chiama l’«anima», suona «refrigeratio». Cassiodoro (Expositio in psalm. 103, v. 3) interpreta i «venti» del poeta ebreo essere le «anime de’ giusti». Or, poiché per la storia di tutte le religioni sappiamo che la speranza di un’altra vita è riposta nell’anima, la quale si crede superstite alla morte del corpo, lo scita, dopo la «patria e le leggi», giurava per la «speranza» o pel «timore» del Tartaro. La terza parte del giuramento è riposta nella «forza» della «propria spada», a cui gli uomini veri ricorrono, quando veggonsi