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294 vi - commento alla «chioma di berenice»


traditi dai principi * ed abbandonati dal cielo. * Gli amanti giuravano per gli occhi. Tibullo, iii, eleg. 6:

               Perque suos fallax iuravit ocellos.

E Plauto, Menaech ., att. v, sc. 9:

                    Si voltis per oculos iurare.

E Properzio, lib. i, eleg. 15, 33; ed in Petronio: «Tetigit puer oculos suos, conceptisque iuravit verbis, sibi ab Ascylto nullam vim factam». E, con piú tenerezza d’affetto, in Apuleio, Metam., lib. iii: «Fotidis, et admota meis luminibus», et seq. — Vide Nasonem, Amor., lib. ii, eleg. 16, v. 43, et lib. iii, eleg. 3, v. 11.

Tornando al giuramento della chioma, e considerandolo poeticamente, per chi con piú passione poteva ella giurare che per lo capo della sua donna, ove pur sospirava di ritornarsi? I giuramenti fatti sobriamente e con pietá fanno l’orazione sublime, perché, intermettendo le cose divine alle umane, aprono un sentiero al meraviglioso, e, facendone temere la vendetta celeste contro lo spergiuro, ci tramandano i concetti nel cuore, pieni di passione e di voluttuoso ribrezzo, quando specialmente si giura per cose care e perdute, le quali ridestano le dolci e dolorose rimembranze del passato. Perciò Longino (sezione xvi) allega per esempio di sublime il giuramento di Demostene per le anime de’ morti in Maratona. Cosí è pieno di magnificenza, perché porta tutti i pensieri del lettore sulle grandi speranze del futuro, quel giuramento d’Ilioneo: Eneid., vii, 234:

                    Fata per Aeneae iuro.

E pieno di profondo dolore è quello di Pier delle Vigne in Dante: Inferno, canto xiii, v. 73:

                    Per le nuove radici d’esto legno
               vi giuro che giammai non ruppi fede
               al mio signor...

Ma chi vuole sentire la forza di questi versi, legga tutto il discorso di quel venerando suicida. Quintiliano scrive alcuni precetti sul giuramento, ma son tutti da poco; ed insegna assai piú, quand’egli (lib. iv, nel proemio), narrando a Marcello Vittorio le proprie sciagure domestiche, esclama: «Iuro per mala mea, per infelicem conscientiam, per illos manes numina doloris mei...». * Ma i piú magnifici giuramenti, e tutti pieni di deitá, sono in Omero fatti da Giunone. Lib. xiv, v. 271 sg. e lib. xv, v. 36 sg. *