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considerazione decimaterza 329


Laonde io credo che il μύρον d’Archiloco, voce generale che spiega una materia liquida ed odorosa, derivi dalle voci speciali μύῤῥα, «mirra», preziosa e naturale gomma di una pianta. Cosí dalla voce speciale «vir» vennero le solenni «vis*», «virtus»; «fortis», «fors», «fortuita»: ἀνήρ, «uomo»; ἀνδρεία, «forza»; ἄνξ, «re». E qui notino i politici che «forza», «virtú» e «fortuna» hanno anche in gramatica la stessa radice. Quindi il nome della mirra, cosa preziosa e fragrante, s’applicò alle materie che avevano le medesime qualitá. Non era dunque unguento quello di cui si ungevano le compagne di Elena in Teocrito, e molto meno quello di cui Venere imbalsamò il corpo di Ettore ( Iliad ., xxiii) per farlo incorruttibile; ma era oglio semplice di rosa, immaginato, al mio parere, dal poeta per significare cosa divina e degna degli immortali, come l’ambrosia. Che se presso gli orientali e nei libri piú antichi si legge: «Aaron unguentum capiti affundere solitus, quod in barba descenderet» (Esodo), non perciò prova che * questo non fosse oglio, poiché nei medesimi libri si trova «Impinguasti in oleo caput meum» ( Psalm ., xxii, 5); né che d’altronde* i greci dovessero sin d’allora usarne. Ma che la mirra non fosse fra gli unguenti anche presso gli orientali, e che si distinguesse il culto delle vergini da quello delle spose, si vede chiaramente da quel passo nel Libro di Ester (cap. 11, 12): «Cum venisset tempus singularum per ordinem puellarum, ut intrarent ad regem, expletis omnibus quae ad cultum muliebrem pertinebant, mensis duodecimus vertebatur; ita dumtaxat, ut sex mensibus oleo ungerentur myrrhino, et aliis sex quibusdam pigmentis et aromafibus uterentur». Perocché, essendo riguardate quelle donzelle riserbate al letto del re quali fanciulle regali, ne’ primi sei mesi usavano della semplice mirra come vergini, e negli ultimi sei di unguenti composti come prossime alle nozze. * La meretrice, sí eloquentemente dipinta nella Bibbia, profumava di mirra il suo letto (Liber proverb.,cap. vii, v. 16): «Intexui funibus lectutum vieum, stravi tapetibus pictis ex Aegypto: aspersi cubite meurn myrrha et aloè et cinnamomo. Veni, inebriemur uberibus et fruamur cupitis amplexibus, dome illucescat dies». *


Oserò pur aggiungere una mia congettura, che non ho potuto impetrare da me stesso di abbandonare, tanto io sono convinto che nelle favole degli antichi fosse riposta tutta la teologia, la fisica e la morale di quelle nazioni. Le giovinette, e piú ancora le ingenue e regali, piú facilmente pericolavano negli amori domestici, poiché alla voce soave dell’amore si aggiungeva la ritiratezza con che il