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ultime lettere di iacopo ortis 29


tutti lo credono. Ma io? non sarò né legislatore, né giudice mai. In questa gran valle, dove l’umana specie nasce, vive, muore, si riproduce, s’affanna e poi torna a morire, senza saper come, né perché, io non distinguo che fortunati e sfortunati. E se incontro un infelice, compiango la nostra sorte, e verso quanto balsamo posso su le piaghe dell’uomo: ma lascio i suoi meriti e le sue colpe su la bilancia di Dio.

Ventimiglia, 19 e 20 febbraro.

«Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agonie della morte, e non hai la sua tranquillitá, ma tu dèi soffrirle per gli altri». Cosí la filosofía domanda agli uomini un eroismo, da cui la natura rifugge. Chi odia la propria vita può amare il minimo bene, ch’egli è incerto di recare alla societá, e sacrificare a questa lusinga molti anni di pianto? E come potrá sperare per gli altri colui che non ha desidèri né speranze per sé; e che, abbandonato da tutto, abbandona se stesso? — Non sei misero tu solo. — Pur troppo! Ma questa consolazione non è anzi argomento dell’invidia secreta, che ogni uomo cova dell’altrui prosperitá? La miseria degli altri non iscema la mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infermitá? E chi, anche volendo, il potrebbe? Avrebbe forse piú coraggio da comportarle; ma cos’è il coraggio vòto di forza? Non è vile quell’uomo che è travolto dal corso irresistibile di una fiumana, bensí chi ha le forze da salvarsi e non le adopra. Ora dov’è il sapiente che possa costituirsi giudice delle nostre intime forze? Chi può dare norma agli effetti delle passioni nelle varie tempre degli uomini e delle incalcolabili circostanze, onde decidere: «questi è un vile, perché soggiace; quegli che sopporta, è un eroe»? mentre l’amore della vita è cosí imperioso, che piú battaglia avrá fatto il primo per non cedere, che il secondo per sopportare.

— Ma i debiti i quali tu hai verso la societá? — Debiti? Forse perché mi ha tratto dal libero grembo della natura, quand’io non aveva né la ragione, né l’arbitrio di acconsentirvi, né la forza di oppormivi, e mi educò fra’ suoi bisogni e fra’ suoi