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ultime lettere di iacopo ortis 55


ed io t’amo, e sento che t’amerò eternamente, ti lascerò per la speranza che la nostra passione s’estingua prima de’ nostri giorni? No; la morte sola, la morte. Io mi scavo da gran tempo la fossa, e mi sono assuefatto a guardarla giorno e notte, e a misurarla freddamente.., e appena appena in questi estremi la natura rifugge e grida: — Ma io ti perdo, ed io morrò. — Tu stessa, tu, mi fuggivi; ci si contendeano le lagrime... E non t’avvedevi, nella mia tremenda tranquillitá, ch’io prendeva da te gli ultimi congedi e ch’io ti domandava l’eterno addio?

Che se il Padre degli uomini mi chiamasse a rendimento di conti, io gli mostrerò le mie mani pure di sangue, e puro di delitti il mio cuore. Io dirò: — Non ho rapito il pane agli orfani ed alle vedove; non ho perseguitato l’infelice; non ho tradito; non ho abbandonato l’amico; non ho turbata la felicitá degli amanti, né contaminata l’innocenza, né inimicati i fratelli, né prostrata la mia anima alle ricchezze. Ho spartito il mio pane con l’indigente; ho confuso le mie lagrime con le lagrime dell’afflitto; ho pianto sempre su le miserie dell’umanitá. Se tu mi concedevi una patria, io avrei speso il mio ingegno e il mio sangue tutto per lei; e nondimeno la mia debole voce ha gridato coraggiosamente la veritá. Corrotto quasi dal mondo, dopo avere sperimentati tutti i suoi vizi..., ah, no! i suoi vizi mi hanno per brevi istanti forse contaminato, ma non mi hanno mai vinto... ho cercato virtú nella solitudine. Ho amato!... Tu stesso, tu mi hai presentata la felicitá; tu l’hai abbellita de’ raggi della infinita tua luce; tu mi hai creato un cuore capace di sentirla e di amarla; ma dopo mille speranze ho perduto tutto! ed, inutile agli altri e dannoso a me stesso, mi sono liberato dalla certezza di una perpetua miseria. Godi tu, Padre, de’ gemiti della umanitá? Pretendi tu che ella sopporti le sventure quando sono piú violenti delle sue forze? o forse hai conceduto al mortale il potere di troncare i suoi mali, perché poi trascurasse il tuo dono, strascinandosi scioperato tra il pianto e le colpe? Ed io sento in me stesso che gli estremi mali non hanno che la colpa o la morte. Consolati, Teresa: quel Dio, a cui tu ricorri con tanta pietá, se degna d’alcuna cura la vita e la morte di