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lungo la francia e l'italia 107


per non so che alla marchandee de modes, ch’era prossima all’hôtel de Modène, le aveva detto che s’informasse s’io fossi partito già da Parigi, e se avessi lasciata una lettera a suo ricapito.

Trovandosi la gentile fille-de-chambre sí presso al mio uscio, risalí a ristarsi nella mia camera tanto ch’io scrivessi un polizzino.

Ed era una placida e bellissima sera degli ultimi giorni di maggio; e le tendine cremisi delle mie finestre (di color simile a quelle del mio letto) erano tutte chiuse; e il sole dall’occidente si rifrangeva attraverso quelle tendine sul volto della gentile fille-de-chambre con tinta sí ardente. Mi pareva ch’ella arrossisse; e quest’idea fe’ arrossire me pure; e quel trovarci lí soli ci ricolorí il volto d’un secondo rossore innanzi che il primo si fosse smarrito.

Avvi una tal qualità di rossore mezzo piacevole, mezzo colpevole; ma la colpa è piú del sangue che dell’intenzione: sgorga impetuoso dal cuore, e la virtú gli tiene dietro, non già a richiamarlo; bensí congiurano da fratelli, affinché i nervi se ne risentano piú mollemente.

Ma né questa descrizione fa al caso, perch’io sul bel principio sentiva nel mio secreto un certo che, che non rispondeva in perfettissima consonanza alle lezioni da me date la sera innanzi alla giovine. E spesi cinque minuti a cercare un polizzino bianco, ed io sapeva di non averne; pigliai la penna, la lasciai: le mie dita tremavano, e mi fu addosso il demonio.

So bene, quant’altri, che quest’avversario, ove tu gli resista, se ne va via; ma io raffronto assai raramente, pel terrore che la battaglia (e poniamo ch’io vinca) non mi lasci qualche ferita; onde antepongo la salute al trionfo ed, in cambio di farlo fuggire, fuggo io le piú volte.

La gentile fille-de-chambre si fe’ piú dappresso allo scrittoio ov’io andava pescando quel polizzino: pigliò la penna ch’io aveva posata: mi si esibí di reggermi il calamaio; e sí docilmente, ch’io quasi accettava: ma non mi arrischiai. — Non so, mia cara — le dissi, — su cosa scrivere.