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108 vii - viaggio sentimentale di yorick


— Scriva — risposemi ingenuamente — su quello che può.

— Graziosa giovine! scriverò sul tuo labbro: — ma non lo dissi.

— S’io la bacio, son ito! — La pigliai dunque per mano, menandola verso l’uscio, e pregandola che non si dimenticasse della mia lezione di ieri.

— Me ne ricordo, me ne ricordo — rispose: e con tanta vivezza, che si volse a un tratto verso di me, posando le sue mani sovra le mie, ed io le strinsi. E come no, in quello stato? Avrei ben voluto lasciarle andare; ma io le stringeva, e non senza rimorso; ma io tuttavia le stringeva. In due minuti io presentii tutta la battaglia che tornava a prorompermi addosso: le mie ginocchia tremavano, e un brivido andavami per la vita.

Dal luogo ov’io m’era fermato con lei a’ piedi del mio letticciuolo vi correvano appena due braccia: ed io teneva pur sempre le mani della fanciulla, non so dir come. Non l’ho pregata, non ve la trassi; m’era uscito di mente il letto: eppure ci trovammo seduti l’uno accanto all’altro sul letto.

— Appunto, diss’ella: —oggi ho fatto una borsellina al suo scudo; e gliela mostrerò. Si mise la mano nella tasca diritta ch’era dal mio lato, e andava frugando; poi nella tasca mancina. — L’avrò perduta! — Io non ho mai tollerata la mia impazienza con tanta tranquillità; e, quando Dio volle, la borsellina si trovò nella tasca diritta, e la trasse: era di taffettà verde, foderata di raso candido trapuntato, larga appena che vi capisse lo scudo: me la diede in mano: era una bella galanteria, e me la tenni per dieci minuti sovra la palma, il cui rovescio posava sovra il ginocchio della fanciulla; ed io guardava la borsellina, e talvolta chi mi stava da lato.

Uno o due punti s’erano scuciti nelle crespe del mio collarino: la gentile fille-de-chambre trasse, senza aprir bocca, il suo agoraio, infilò un ago, e li ricuciva. Vidi ch’io tornava ad avventurare la gloria della giornata; e di volta in volta che la fanciulla serpeggiava tacitamente con le sue dita intorno al mio collo, io mi sentiva sfrondar sul capo l’alloro di cui la mia fantasia m’aveva già coronato.