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confessioni di didimo chierico 179


nel suo stato, m’insegnò a non avvilirmi all’altrui carità e a tollerare i disagi con silenzio e con verecondia. Era, ed è tuttavia, il tugurio de’ padri miei tra le feconde correnti dell’Adda, fiume, e la città di Milano, in un colle di cipressi detto Inverigo, dove vivendomi sino all’undicesimo anno dell’età mia, mi compiacqui tanto di quella solitaria e pensosa e libera vita, ch’io non ho mai piú in appresso potuto in verun luogo popolato acquetarmi. Finalmente venni ammaestrato nell’alfabeto da un vecchio curato, sacerdote di viscere veramente paterne; se non che si dilettava troppo delle gazzette e sperava ch’io gli sarei stato un giorno lettore, poiché gli occhi suoi mezzo infermi potevano sostenere a fatica lo splendore del sole. Nondimeno lasciava ch’io leggessi e scrivessi quando e come piú mi piaceva, e, per mercede del mio aiuto negli uffici della chiesa, mi rivestiva da chierico de’ suoi men logori panni. Ma la semplicità, la misericordia, la verecondia, la vita solitaria e pensosa, la libertà di corpo e di mente non solo, come vidi per propria esperienza, ti fanno misero a sei volte e spregevole e avverso al tuo prossimo, ma ti armano altresí di certo intempestivo e ruvido zelo e di certe superstizioni per le virtú, in guisa che tu vivi, e senza poterti tacere, mattamente bramoso che il mondo non si contenti del poco bene e del molto male di cui fu ab aeterno composto dall’arcano consiglio di Dio.

iv

Insuperbitomi delle lodi del vecchio parroco, che già mi stimava egregio lettore di gazzette, volli, per amore e ambizione di letteratura, andare a Milano vestito da chierico, sebbene io non avessi ricevuti peranche gli ordini minori. Ricordomi che fui sino alla piscina di Desio, grosso borgo, accompagnato dalla mia povera madre, dal parroco e da una vecehierella che parea scema, tante lagrime e vani gemiti mandava lungo la via; ma si vedrà che, quando il rimorso mi fece germogliare nell’anima lo spirito tristo della querimonia e della profezia, quella vecchia fu a me piú terribile della maga del re Saule. La madre