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difesa pel sergente armani 193


avviliscono e chi li dà e chi li riceve; allega l’onore perduto in faccia e tutto il reggimento e l’ingiustizia della prigionia imminente.

Nell’accusatore dunque si vede l’indolenza, l’imperízia e la debolezza di reprimere i disordini, la illiberalità e la villania. Nell’accusato al contrario appare la stanchezza della persecuzione ed il punto d’onore. L’accusatore confessa che egli aveva preso un ordine per un altro, e che per questo sbaglio invece della sala di disciplina intimò al sargente la prigione della cittadella. E qui può il giudice sospettare che non forse per ismemorataggine, ma pel solito spirito di persecuzione, il Gerlini aggravò considerabilmente la pena ordinata in iscritto dal comandante Rossi. L’accusato confessa che per quest’ordine violento, reputandosi morto civilmente, meditò il suicidio appiedi del proprio tiranno. L’accusatore dunque appare un uffiziale che per ismemorataggine e per imprudenza, e forse per crudeltà, strascina alla disperazione ed al sepolcro un suo subordinato; l’accusato al contrario appare un soldato che non può sopravvivere alla infamia. L’accusatore confessa che nella zuffa egli aveva perduta la presenza di spirito: fugge in mezzo al popolo, geme, si querela fra le donne. L’accusato mostra col fatto, che per non morire come pecora, si difese da chi lo assali; che non teme la morte ma il modo vile della morte, e che, persistendo sempre nel suo proponimento del suicidio, si scarica con tranquillità d’animo una pistola nella bocca: la pistola lo inganna: invece di dargli la morte senza dolore, gli lascia il dolore e gli nega la morte ch’ei desiderava; con tutto ciò egli esce tranquillamente dalla casa, non insegue persona del mondo, non fugge, ma va a passo tardo e generoso, simile a quelle fiere magnanime che temono di essere vedute fuggire dal cacciatore. L’accusatore appare dunque un uomo di animo misero; mentre l’accusato è un uomo consigliato e sicuro, anche nel sommo turbamento della sciagura. Fra due uomini di sí diversa tempra a chi è da credersi, o giudici?

In ultimo luogo, la terza norma per il tribunale in siffatti casi di dubbio deve essere l’esame dell’interesse che move ciascuno de’ due individui a dire piuttosto una cosa che un’altra.