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lungo la francia e l'italia 89


XLIII

IL MEMORIALE

VERSAILLES

Non vorrei che l’occhio del nemico mio spiasse nella mia mente quand’io mi movo a chiedere l’altrui patrocinio; ed ecco perché le piú volte m’ingegno di patrocinarmi da me. Se non che questo mio ricorso a monsieur le duc de Choiseul era un atto di compulsione: se fosse stato un atto d’elezione, mi sarei, credo, portato al pari di chicchessia.

Oh quanti bassi modelli di laide suppliche andò lungo la via disegnando il servile mio cuore! Per ciascheduna di quelle servilità io mi meritava la Bastiglia davvero.

Adunque, quando fui in vista di Versailles, rimanevami l’unico ripiego di rappezzare parole e sentenze e d’ideare attitudini e toni, che mi conciliassero la buona grazia del signor duca. — Or si va bene — diss’io; — oh sí davvero! — E mi ripigliai: — Bene? — come l’abito che un presuntuoso sartore gli presentasse, senza prima averlo attillato al suo dosso. — Balordo! vedi in prima in viso monsieur le duc; esplora i caratteri che vi sono scolpiti; nota in che positura t’ascolta; considera l’abitudine del suo corpo e delle sue membra; e, quanto al tono, il primo suono che gli esce di bocca te lo darà: ricava da tutto ciò un memoriale improvviso, né potrà dispiacergli; anzi è verosimile ch’ei l’assapori, poiché gl’ingredienti saranno suoi.

— Eppure! vorrei esserne fuori — diss’io.

— E torna, codardo! codardo! quasi che in tutto il cerchio del globo il mortale non fosse eguale al mortale! E s’egli è eguale nel campo, perché non anche a tu per tu in una stanza? Credimi, Yorick: chi si tiene dappoco, è traditore di se stesso: la natura è avara alle volte d’alcuna difesa all’uomo; ma l’uomo butta via le altre dieci ch’essa gli ha dato. Presentati al duca