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90 | vii - viaggio sentimentale di yorick |
con la Bastille sul viso: ci giuoco la vita che tu in mezz’ora sei rimandato a Parigi e scortato.
— Credo — risposi: — me n’andrò dunque, giuro a Dio! con tanta ilarità e disinvoltura che nulla piú.
— E qui pure tu sbagli — replicai tosto. — Yorick, un’anima in calma non corre agli estremi: sta equabile nel suo centro.
— Egregiamente! — esclamai.
E in quella il cocchiere dava la volta verso la porta; e tanto ch’egli girò nel cortile e si fermò su la soglia, mi trovai sí ben convertito dalla mia predica, ch’io saliva le scale, né come la vittima della giustizia che va su l’ultimo gradino a morire, né in un paio di salti, come quand’io volo, o Elisa, a te per rivivere.
Presentandomi all’anticamera, mi si fe’ incontro un tale, forse il maitre-d’hôtel, ma l’avresti creduto piuttosto uno de’ vicesegretari; e mi disse che monseigneur era affaccendato.
— Ignoro al tutto — diss’io — con quali formalità s’ottenga udienza: sono mal pratico e forestiere; e il peggio, nelle congiunture d’oggi, si è ch’io sono inglese.
— Ciò non fa caso — mi rispos’egli.
Me gli inchinai appena, soggiungendo ch’io aveva da parlare d’importanza a monsieur le duc. Il segretario gittò l’occhio verso le scale, quasi volesse lasciarmi e riferire l’ambasciata.
— Ma io non v’ingannerò — gli soggiunsi: — ciò che ho da dire non può importare a monsieur le duc, bensí assaissimo a me.
— C’est une autre affaire — mi diss’egli.
— Anzi no, per un galantuomo — diss’io: — ma piacciavi, mio buon signore, di dirmi quando potrà egli un forastiero sperare accesso? —
Osservò il suo oriuolo e rispose: — Tra un paio d’ore; non prima. —
La quantità delle carrozze nel cortile si conguagliava a quel calcolo; né mi dava lusinga di piú breve aspettativa. E s’io mi metteva a passeggiare per lungo e per largo, senza un’anima in quella sala con cui barattar tre parole, io per allora sarei stato a un di presso nella Bastille. E tornai tosto alla mia