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considerazione v

Giuramento.


          Verso 40. — Adiuro teque tuumque caput:
          Digna ferat, quod si quis inaniter adjurarit.

Gli stoici prescrivono che si ricusi il giuramento a tutto potere (Epitteto, cap. 44); e, se pur è da giurare, si giuri soltanto o per trarre l’amico di manifesto pericolo, o per i parenti e la patria (Simplicio, comen. ad Epitt., ibid.). — L’accusatore di un omicida giurava all’Areopago ch’ei diceva il vero. Se l’accusa non era provata non era punito, ma consecrato per lo spergiuro all’ira divina. = Quantunque egli siasi obbligato al sacramento, non però gli si crede. Convinto di calunnia, chi vorrà redarguirlo? Ma sé ed i figliuoli, e l’intera famiglia avrà di nefando e sterminatore sacrilegio contaminati. Demostene contro Aristocrate. = So d’avere letto nell’antico scoliaste di Pindaro, sebbene or non mi torni a mente il testo, che gli antichi, per timore dello spergiuro, si contentavano della sola formola del giuramento, omettendo il nome degli Dei. Essendo la religione de’ greci incorporata negli affari politici, gli spergiuri consecrati all’ira de’ numi erano oppressi ad un tempo dalla pubblica infamia. — Questa formola Adjuro teque tuumque caput era famigliarissima a’ greci; onde Giovenale, satira vi, v. 16:

                     — Nondum graeci jurare parati
               per caput alterius.

Ma a torto il satirico morde i greci, ch’ei doveva mordere e gli ebrei (Matth., v, vers. 36), ed i romani de’ suoi tempi, che giuravano Per salutem et Genium Principis, e gli sciti sin dall’età più antica per solium regis,"