Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/218

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200 avvertenza.

Già volgeva il giugno del I846, ed ella, desiderosa che non rimanessero più lungamente sconosciuti quei nobili versi, inviava a me la copia esemplata di sua mano, commettendomi di esaminarla e di esporle poi il mio parere in proposito, dichiarandomi ad un tempo con troppo benigna indulgenza di volere ad esso intieramente deferire. Per oltre due mesi io meditai su quel manoscritto; ma, quantunque io mi sentissi sovente rapito da nuovi squarci bellissimi, quantunque più d’una volta rimanessi meravigliato della felicita e dello squisito gusto con che erano state ricongiunte insieme alcune parti e scelte alcune lezioni, pure non potei indurmi giammai ad animare la egregia Donna ad avventurarne la pubblicazione; tante erano tuttavia le lacune, tante le incertezze di ogni genere circa la locuzione poetica, tanta, in una parola, la caligine che ingombrava tuttora, per dir così, la faccia di quella ignota regione, ancorchè l’occhio potesse contemplarne qualche vetta superba e qualche ridente pianura. Io già mi accingeva a scriverle in questa non lieta, ma pure prudente e necessaria sentenza, quando sentii prima il dovere di accertare definitivamente me stesso, se fra le reliquie foscoliane non esistesse più veramente alcun frammento degl’Inni; e, poichè esse da qualche mese erano venute sotto la mia custodia, come quelle che dai tre Proprietarj erano state liberalmente depositate nella pubblica Biblioteca dell’Accademia Labronica onde io sono Secretario, facilmente potei farlo. Qual gioia inaspettata! In un voluminoso involto di carte concernenti gli sciagurati affari economici fra il Poeta ed il Pickering, e che a prima giunta sembrava niente altro contenere, rinvenni forse cinquanta fra nuovi frammenti e varianti degl’Inni, alcuni supplement alla Ragion poеtica, parecchie note, particolarmente all’Inno primo, una dichiarazione circa alle note stesse, e, quello che specialmente è degno di osservazione, un triplice abbozzo di lettera alla Contessa d’Albania per accompagnarle tre esemplari del Carme cui l’autore vagheggiava in fantasia già pubblicato, e per pregarla a volere (ritenuto per sè il primo) inviarne il seconde a Roma al Canova, e presentame il terzo al Fabre.1

  1. La lettera è la seguente: non ha data, ma è cortamente scritta prima del 31 marzo 1815, giorno in cui egli lasciò per sempre la Lombardia e l’Italia.
           «Benchè questo Poema lirico sia Intitolalo allo Scultore artefice di Numi, otterrà, spero, più lieta accoglienza, se il secondo esemplare dell’edizione gli sara spedito a Roma da Lei. Nè le rincresca di presentare al signor Fabre il terzo in mio nome; e quell’alunno elegantissimo del Pussino indovinerà che io, senza presumere di gareggiare d’ingegno con lui, mi sono, se non altro, studiato di farmi benemerito delle belle Arti, cercando di rappresentare il bello ed il vero in guisa, che somministri soggetti nuovi agli Artefìci.
           Or io vorrei potere presentarte in Firenze dove fu scritto, piuttosto che mandarle di Lombardia, questo libricciuolo; ma la Fortuna vuole che io viva di rimembranze e di desiderj. Così affretto il tempo e l’occasione ch’io possa risalire tutte le malline al poggio di Bel-