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Nella casa paterna. Io di Enomao

Prole infelice, a Pelope consorte,
Io madre, e madre di discordi figli,
Cui di rabbia nefaria impeto tragge
A sbranarsi fra lor, io sventurata,
Qual te, non sono? E soffrirò che sparso
D’innocente nipote il sangue sia?
No, tel giuro, non mai: per questo petto
Pria de’ il brando passar: vivrà tuo figlio,
Sgombra il timor, vivrà. Deh! a me l’affida;
Tutta la cura a me ne lascia.
Erope. – Or prendi.
Ma... oh dio!... deh... deh mi lascia... Almeno,
o madre,
Seco lui fuggirò... Romita, ancella,
Purchè sia con mio figlio... Ah lascia. – E dove?
Dove tu il condurresti!... Atreo!... di troppo
Ti fidi tu... No, no... lungi da questa
Reggia di sangue io me n’andrò ... Ma il figlio,
Il figlio meco, e poi morir. – Sì ... morte
Quanto più cara assai!... morte; sì, morte,1.
Ippodamia. Scena di lutto! Oh! figlia, Erope, al fine
Calmati; attendi del tuo fato i cenni:
Tal si de’ a’ sventurati.
Erope. I cenni e ’l fato
Sono di morte, e morte voglio.
Ippodamia. Indarno
Dunque fia ch’io ti prieghi! Il figlio tuo
L’avrai, ti rassicura: ah! soffri ancora
Per poco; il rendi a’ suoi custodi; Atreo
Mal soffrirebbe che degli ordin suoi
Si vïolasse il menomo: di lui
A’ piè mi prostrerò; bagnar di pianti
Mi vedrai le sue man; preci, scongiuri
Per te non fia ch’io mai risparmi; il sire
Si piegherà, lo spero; il figlio allora
Renderatti spontaneo. – E, chi sa!... forse,
Chi sa! umano ha core; a lui ti mostra

  1. S’abbandona disperata sopra il Fanciulletto