Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/286

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268 le grazie

In mille nodi fra le perle i crini:
285Tacitamente l’anfora converse,
E dell’altre la vaga opra fatale
Rorò d’ambrosia; e fu quel velo eterno.
     Pallade il tolse, e scese; e le tre caste
Timide Grazie vide assise al lito
290Di Mergellina, Galatea chiamando.
Tendean le palme a Galatea: «deh, vieni
Colla tua conca, o nivea Galatea!»
Ed a loro il divin senno di Palla:
«Venere, o Grazie, più del bacio v’ama
295Che Amor le dà: perciò v’insegue Amore
Invido, e non fanciul, come più spesso
Pare agli umani; ma d’Apollo assume
L’alta persona; ad Ercole la clava
Strappa dinanzi a Giove; e non ha l’ali,
300Gli occhi bensi, che sospettosi intorno
Volteggia e intenti, minacciando; ed arde,
Perchè dal crin sino alle piante è fiamma.
Ma pur, vergini Dee, d’Amor sorelle
Creovvi il Fato; nè da lui potrei
305Partirvi, ne il desia la Terra o il Cielo.
Ma qualor di sue fiamme arda l’Olimpo,
Arda il cor de’ mortali, e di voi, caste
Dive, a’ consigli e al lacrimar s’adiri,
Vi ricopra il mio velo; e si raccolte,
310Finchè nel furor suo freme e imperversa,
Siavi la reggia mia securo albergo.
Quindi ospiti improvvise all’elegante
Pittor scendete, e il vostro ingenuo riso
Dolce un decoro pioverà alla tela;
315Nitido il verso suonerà al Poeta,
Se voi l’udrete; e lo scalpel sul marmo
Scorrerà facilissimo, spontaneo,
Purchè raggiate su quel marmo i guardi:
Cosi d’amore oblio l’Arti saranno.»
     320Taceva: e già l’invïolabil velo
Che circonda le Dee manda improvviso