Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/29

Da Wikisource.
giro

Per le greche contrade, e con mentito
Nome traggo i miei giorni; e spargo pianti
Dovunque io passo; e di gemiti e strida
Empio gli ospiti alberghi. Erope sempre
M’insegue; ed io?... Me misero! Rivolgo
Contro il mio petto il ferro; ella s’affaccia,
E lo ritorce, e par mi dica: «un solo»
«Avel ci accolga»: e l’acciaro di mano
Mi strappa, e fugge. – La söave idea
Di rivederla mi trattenne, oh quante
Volte sul margo della tomba, in punto
Che già volea precipitarmi! Al fine
Mendico e oscuro mi ritrassi in Delfo,
Vivendo in pianto.
Ippodamia. In Delfo! O figliuol mio!
E qual dio ti salvò? Tese t’avea
Il re insidie di morte.
Tieste. E men’avvidi:
E i duo che d’Argo erano giunti, e tanto
Amici al sir di Delfo, io paventai.
Fuggii; giunsi in Micene; indi cacciommi
Pliste cognato al re. Scornato, afflitto,
Abbandonato, senza fida e cara
Sposa d’amore e affettüosa madre
Volli tentar gli estremi... Avea già il piede
Volto ver Argo... allor che Agacle argivo
D’Erope sparse l’imminente morte.
E qui venni e qui corsi, Erope mia
A liberare, od a morir.
Ippodamia. Mal festi:
Ch’è in suo proposto Atreo fiero, tremendo,
Inesorabil, duro: ira l’avvampa
Contro di te; nol disse, è ver; gran tempo
È ch’ei non parla di vendetta; eppure
Tremo... Egli cova atri pensier: tu, figlio,
Fuggi, se cara è a te la mia, la vita
D’Erope e di te stesso.
Tieste. Invan scongiuri:
È omai tutto risolto.