Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/39

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uol mio

Feroce? Ah! il fui! donna spietata!
Ippodamia. Cessa...
Tïeste... Oh stato!
Erope. – E se spietato Atreo
Sarà più teco, o figlio?...
Ippodamia. Omai tant’ira
Spenta è dal tempo; così spento fosse
Di Tïeste l’ardore.
Erope. E chi mi nomi? Come tu sai,
ch’ei m’ama?... amarmi?... Ei m’odia,
Com’io pur l’odio. – Io l’odio? – Ah! no: ma taci.
Basti sin qui; non mi turbar nell’alma
Gli affetti che sopir tento.
Ippodamia. Se in Argo?...
Erope. Oh ciel! Tïeste! E dov’è mai? Che il veggia;
Ma per l’ultima volta: ov’è? Ma no...
Fugga, deh! fugga: tema Atreo: più tema
L’orrore ond’io lo miro. – Ahi che vaneggio?
Dì: che dicesti? Non è ver: tu d’altro
Parli, ti spiega.
Ippodamia. Sì, Tïeste è in Argo.
Erope. O ciel! dove m’ascondo?
Ippodamia. Ah! se può almeno
In lui tua voce, or tu l’adopra; ei ratto
Questo luogo abbandoni.
Erope. È qui!
Ippodamia. S’asconde
Là nell’atrio del tempio: errar lo vidi
Testè là intorno e fremendo guatava
D’Atreo le soglie: «O figliuol mio ritratti»,
Dissi: «Risolsi»; ei mi riprese: e il capo
Crollò, e partissi, ripetendo il nome
D’Erope. – Or mira qual su noi sovrasta
Periglio, e qual su lui!
Erope. Ch’altro n’attende
Più che morte? moriam.
Ippodamia. Figlia, deh! cedi,
E ten prego piangendo: io qui a tant’opra