Pagina:Foscolo - Poesie,1856.djvu/41

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vita.

Tieste. Io sì morte ti venni a dar, ma morte
A mercarmi con te; teco trascorsi
I dì felici, e teco i più infelici
Trascorrer bramo. Tu se’ mia: ti strinse
Meco il voler d’Atreo: strinsero i numi
I nostri nodi... E ov’è la mutua fede?
Ove i spontanei giuramenti? Infranse
Tutto il livor del re. Sua sposa a torto
Da me svelta ti volle. – Volle! Ah! tu
Nol fosti mai; no. Frapponeasi un giorno
Perchè dinanzi ai dei saldo t’unisse
Esecrabile nodo; io lo prevenni,
E mia fosti per sempre: e pria ch’ei t’abbia,
Perderà l’alma. –
Ippodamia. O core! E qual rivolgi
Altr’opra in mente più sanguigna? Io madre
Sonti; ma son del par madre ad Atreo.
Ed osi proferir tu del fratello
Lo scempio macchinato? e d’un mio figlio
Spargere il sangue? E non paventi in dirlo
Una folgor celeste? e non rispetti
Quel duol che tu sol mi cagioni?
Tieste. Eh, dimmi,
Testè non antevidi che il materno
Tuo amor non merto? – Sventurato io sono.
Ippodamia. Nol merti, no: ma sol le tue sventure
Fan ch’io m’acciechi, e che tel renda. – A tanto
Non m’accecan però, ch’io t’abbandoni
Al disperato furor tuo.
Erope. Tïeste,
Troppe abbiam noi cagion di lai, di angosce;
Nè venirle ad accrescere: ten prego,
Non aspreggiarle d’avvantaggio. I casi
Del tuo delitto segui, e se infelice
Tu se’, no, non temer; non invidiarmi:
Più di te lo son io.
Tieste. Crudel! non venni
Onde tiranneggiar l’alma tua afflitta;