Pagina:Frammenti (Saffo - Bustelli).djvu/38

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mò Taziano (Oraz. ai Greci, 52 e 53) la Nostra: femminella impudica, cantatrice di sue lascivie. Bucinavasi, come in Suida leggiamo, tener Saffo brutta dimestichezza colle amiche; ed essergliene venuta e mala voce e vergogna. Massimo Tirio (Dissert. XXIV), pur isforzandosi di nettarla dall’infamia, confessa che Saffo nelle poesie celebrava di frequente gli amori femminili, come Socrate i maschili; e non celava d’amar assaissimo, e da ogni bella persona lasciarsi facilissimamente ammaliare. L’ottimo filosofo, per farne chiari ch’egli, onestando gli amori di Saffo, non piglia platonicamente un granchio, ci spaccia lì presso per estetici gli amori d’Anacreonte per Batillo, Smerdia e Cleobolo. Nelle Quistioni Conviviali di Plutarco leggiamo (VII, 8): «qualora si recitassero i canti di Saffo ed Anacreonte, io penserei, mosso da pudore, dover deporre il nappo.» Non altramente rappresentano la mollissima poesia saffica Temistio (Oraz., XIII), Orazio (Odi, II, 13, 21 e seg.), Ovidio (Eroidi, XV), Apulejo (Apologia); tutti concordi a riprovarne, o almanco affermarne, l’oscenità. Citeremo d’Ovidio versi per lei vituperosi:

Nota sit et Sappho: quid enim lascivius illa?
(Arte d’amare, II, 331)