Pagina:Francesco Malaguzzi Valeri - Leonardo da Vinci e la scultura, Bologna, 1922.djvu/16

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cranio, son gli stessi zigomi larghi e pronunciati, è lo stesso orecchio di cui il padiglione si piega eccessivamente nella parte superiore. E poichè siamo in materia di rapporti — ai quali non vogliamo dare più valore che non consentano — lo stesso atteggiamento della parte superiore nella figura del Fariseo, con quel viso pensoso incorniciato da barba e capelli fluenti, col braccio raccolto ad accarezzar con la mano la barba, richiama quello di una figura dell’«Adorazione dei Magi» e di tutto un gruppo di disegni leonardeschi che con quella figura del quadro il Thiis ha messo opportunamente a confronto. Si tratta evidentemente di un gesto caro all’artista, e che lo stesso Michelangiolo adottò volontieri. Qualche relazione fra alcuni disegni di Leonardo e figure e sculture di Michelangiolo fu avvertita dal Thiis.

Ma su tutto ciò preferiamo non insistere. Null’altro che rapporti superficiali riusciamo a vedere fra le figure dipinte o disegnate da Leonardo e quelle tre vigorose figure scolpite, in cui lo spirito nuovo, che già trionfava con Michelangiolo, imprimente vita, movimento non conosciuti prima, si fonde con la tecnica sapiente appresa alla buona scuola del Verrocchio. Verosimilmente Leonardo si limitò ad aiutare il Rustici nel lavoro geloso e preoccupante della fusione e tutt’al più gli additò qualche atteggiamento vivace e — ci si consenta la ipotesi — gli modellò in cera la testa calva e un po’ pesante del Levita, in cui par di vedere caratteri leonardeschi riprodotti (con quell’arrotondamento dei piani della modellatura che non consentono un gran gioco di luci e di ombre a distanza e con quelle rughe della fronte troppo tenui) da persona più conscia degli effetti pittorici che pratica delle esigenze della scultura. Il Rustici, nelle due figure vicine e nello stesso panneggio del Levita, sembra invece unicamente