Pagina:Francesco Malaguzzi Valeri - Leonardo da Vinci e la scultura, Bologna, 1922.djvu/28

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18 CAPITOLO I

gusti dell'orafo, anche se nelle barde non mancano motivi cari a Leonardo stesso, a incominciare da certe girate che si risolvono in fiori a larghe foglie. L’arte del Verrocchio riappare nel modo com'è trattata, a fiocchi di lana incomposti, la criniera, nell'infittimento dei fregi delle barde e delle briglie che non lasciano riposar l’occhio, quali ritornano nelle vesti nella Flagellazione. La novità è tutta nello spirito generale che informa il gruppo equestre e che non si può senza ripugnanza ritenere uscito di getto, spontaneamente, dalla consueta genialità del Verrocchio. E poiché in quel tempo Leonardo lavorava con lui e quello spirito nuovo è del tutto consono al suo genio inventivo, al suo modo di pensare e di creare nell’arte, non sapremmo trovare altra soluzione al quesito altrimenti insolubile della vera paternità artistica dell’opera superba che ammettendo una sua diretta collaborazione. Collaborazione verosimilmente limitata a un’idea, a un progetto, forse a disegni (e perchè no alla modellatura di quella testa vigorosissima e di sapore tanto leonardesco?) ma sempre collaborazione. Siamo nel campo delle ipotesi: s’intende. Ma a noi pare che buone ragioni confortino questa che ci consente di spiegare in modo convincente la presenza del capolavoro fra le opere del Verrocchio e che è, come vedremo, confermata da tutto un complesso di raffronti con le opere di Leonardo.

Neil’arte italiana l’atteggiamento generale del cavallo di quel monumento — preferito sugli altri, dal celebre gruppo del Marco Aurelio in poi — era comune.

Figura, per citare gli esempi più noti, in quelli in onore dell'Hackwood, di Nicola da Tolentino, del Gattamelata. Ma nel monumento al Colleoni la novità non consiste tanto nella zampa più alzata e che imprime movimento e vita e nel corri-