Vai al contenuto

Pagina:Frascherie.djvu/226

Da Wikisource.
226 Delle Frascherie

Questi orina parea de le Giumente;
     Mà, benche fusse alquanto torbidetto,
     Mi finì di chiarire intieramente.
L’Hoste l’havea per generoso eletto,
     Ma in nuova frase era gagliardo il vino;
     Perche il gagliardo ancor forte vien detto.
In conclusion, per mio crudel destino,
     In carne in vin sù l’affamata guerra
     Non fei Trinciera: e non toccai Fortino
La Notte homai de’ neri passi, ond’era,
     Fatti havea quatro, e di papaver cinta
     Trahea Morfeo da la Cimeria Terra.
Quando aperto il Giubbon la Calza scinta,
     L’infame ardir de la mia cena trista
     A Dormitorio rio diemmi una spinta.
Volea l’Hoste portar lesta la lista,
     Ma quand’un huom vuol gl’occhi suoi serrare,
     Conto non val per contentar la vista.
E a chi per tempo assai si vuol levare,
     Svegliator de la borsa è il Creditore,
     Svegliator de la testa è haver da dare.
Onde i Conti lassai contai quatr’hore,
     Quando le membra mie furon condotte
     In nero letto a ritrovar l’albore,
Dissi allhor frà mè stesso: Oh quanto dotte
     Persone son, che tutto ’l giorno han letto,
     E non han Letto poi di mezza notte.
D’una dura cervice era il mio Letto,
     Havea di pel caprin scorza lanosa,
     Paglia avanzata al’Asinin banchetto:
Quì trà fiori di spigo, e fior di rosa
     Fù del lenzuol la biancheria condutta,
     Mà più tosto sapean d’herba scabbiosa.