Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/178

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172 libro secondo

     E questo mena poi in piú errore,
ch’e’ piace a se medesmo quando pecca,
e del mal suo s’allegra e dell’angore.
     Ogni bontá umana allor è secca,
140che loda il vizio per virtude vera,
e piacegli chi uccide, robba e mecca.
     E, se in tal vizio indura e persevèra,
allora ’n lui ’l peccar si fa _necesse_,
e di emendarsi al tutto si dispera.
     145Sappi anco che non toglie l’uman _esse_
il male, al qual fragilitá conduce,
né da ignoranza le colpe commesse;
     ché tutta non oscuran quella luce,
che Dio ha posto in voi, della ragione,
150che téma, duolo e vergogna produce.
     Quel che vedesti, che si fe’ demòne
e fe’ l’aspetto tanto brutto e rio,
fu spoletino e detto Servagnone:
     ladro, assassin, biastimator di Dio
155e dispettoso d’ogni cosa bona
e nemico ad ogni atto onesto e pio.
     L’altro s’assomigliò a Licaona,
il terzo al mostro posto nel Labrinto,
che uomo e toro fu ’n una persona.
     160Né l’un né l’altro ben era distinto:
or puoi saper di lor qual fu il peccato,
che ’n lor l’aspetto umano ha tutto estinto,
     e perché ’n bestia ciascuno è mutato.—