Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/240

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234 libro terzo

     Sí come ’l ricco chiese che daesse
65un gocciol d’acqua Lazzaro col dito,
che la sua lingua tanto non ardesse,
     tal chiede l’uom rispetto all’appetito;
colui ch’empirsi d’un gocciol si fida,
di tutto il fiume mio non sería empíto.
     70Qui sta Pigmalion, e qui sta Mida,
che di far oro col tatto a Dio chiese,
e per tal don di sé fu omicida.
     Ancora chiedon con le voglie accese:
a lor, né ad altri mai potei dar tanto,
75ch’elli dicesson ch’io fussi cortese.—
     Rispose a questo un ch’era quivi accanto:
— Pensa se io, a cui non dái niente,
mi debbo lamentar e far gran pianto.—
     E mentre che per questo io posi mente,
80egli mi disse:— Io son preite Antióco,
e son dannato qui tra questa gente.
     Idropico giammai, fabbro, né cuoco
non ebbon sí gran sete; e sempre chiedo
che questa donna mi dia bere un poco.
     85Maggior dolor non è, sí com’io credo,
che di eccellenza aver gran desidèro
o di ricchezza o d’ira o d’atto fedo;
     ché, se quel ch’uom disia non viene invero,
l’animo affligge, e, se inver venisse,
90ha sempre mancamento e non è intero.—
     Risponder gli volea, quand’esto disse;
ma per la folla e per la grande stretta
convenne ch’io sospinto addietro gisse,
     però che quella gente maladetta
95fanno gran calca, ed insieme s’oppreme
ciascun, che l’acqua in prima a lui si metta.
     Per questo poi turbar li vidi inseme,
sí come quei fratelli fên la guerra,
in Tebe nati dal serpentin seme,