Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/262

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256 libro terzo

     O tu, che sali sú di soglia in soglia
— disse uno a me,— nel mondo, onde tu vieni,
a questa, che tu vedi, è simil doglia?
     Ché alcun tra gli ampi campi e cofan pieni
140bramoso sta e fame non si tolle,
ché l’avarizia el tien con duri freni.
     Ver è che dá di morso alle cipolle
spesso spesso messere Buonagiunta,
ricco pisan; ma non che si sattolle.—
     145Ancora al detto suo fe’ questa giunta:
— Tra molti cibi sta la voglia magra,
acciò che dal dolor non sia trapunta;
     ché ’l mal del fianco, febbre e la podagra,
perché del cibo troppo non s’imbocchi,
150menaccia con la doglia acuta ed agra.
     Ma certo non fu’ io di quegli sciocchi:
io son Pier tosco, che dissi:— Addio, lume,
ch’i’ ho piú caro il vin, che non ho gli occhi.
     Il medico dicea:— Bevi del fiume,
155ché, se tu bevi mai rinchiuso in botte,
convien che ’n te il vedere si consume.
     Del buon liquore, che al lor padre Lotte
fecer le figlie, io bevvi un grosso vaso,
dicendo:— O giorno, addio, ch’io vo di notte.—
     160Quel poco lume, che m’era rimaso,
ché l’altro m’avea tolto la taverna,
ecclipsò tutto calando in occaso:
     però sto qui ed ho la sete eterna.—