Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/28

Da Wikisource.
22 libro primo

     Pon’ fin omai, pon’ fin a tanto fleto,
65ché d’altra ninfa di maggiore stima,
se mi vorrai seguir, ti farò lieto.—
     Ed io, mirando l’arbore alla cima,
dissi:— Piú bella non fu mai veduta;
questa l’ultima sia, che fu la prima.—
     70Ed egli a me:— Della cosa perduta
non curar piú; e tanto ti sia duro,
quanto se mai tu non l’avessi avuta.—
     Ed io dicendo pur:— Venir non curo,—
della faretra fuor un dardo trasse,
75ch’era di piombo pallido ed oscuro,
     e parve ch’e’ nel petto me ’l gittasse;
e perché quello fa che amor si sfaccia,
fece che piú Filena io non amasse.
     Allor risposi a lui con lieta faccia:
80— Voglio venire e voglio seguitarte
ed esser presto a ciò che vuoi ch’io faccia.—
     Ed egli disse:— Qua a destra parte
sta una valle tra la gran foresta,
che diece miglia di qui si diparte.
     85Lí debbe dea Diana far la festa
per la sua madre, come fa ogni anno,
e la dea Iuno a venirvi ha richiesta,
     sí ch’ella e le sue ninfe vi verranno,
che son sí belle, che, a rispetto a quelle,
90queste di Diana silvestre parranno.
     Tu vederai venir quelle donzelle
tutte vaghette, adorne ed amorose,
incoronate di splendenti stelle.—
     E poi si mosse tra le vie spinose,
95tanto ch’e’ mi condusse su nel monte,
ond’io vedea la valle, e lí mi pose.
     In mezzo la pianura era una fonte
sí piena d’acqua, che n’usciva un rivo,
nel qual le ninfe si specchian la fronte.