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CAPITOLO XXII
La Caritá mena l'autore nel cielo e tratta delle cose superiori ed eterne.
Il grato e bel parlar, ch'ella facea, mi fu interrotto da dolci armonie d'un canto d'angel dentro una corea.
Per questo ad alto alzai le luci mie, 5 mosso dal cantar dolce e sí giocondo, che mai in terra simile s'udíe.
Veder mi parve allora un miglior mondo e tanto bello, che questo, a rispetto, è una stalla ed un porcile immondo;
10 ché questo è brutto, e quel polito e netto: lassú son le cagion, qui son gli effetti: quel signoreggia, e questo qui è subietto.
Quando tra canti e tra tanti diletti trovarmi vidi ed essermi concesso 15 di vedere tanti angel benedetti,
venne la mente mia quasi in eccesso pel iubilo soave e tanti balli di miglia' d'angel, ch'io mi vidi appresso.
--Fa', fa' che tosto le ginocchia avvalli 20 --disse la scorta mia,--e riverente va', come a suo signor vanno i vassalli.--
Allor m'avvidi e non tardai niente; e, quando appresso fui, m'inginocchiai prostrato in terra tutto umilemente.
25 Un angel bello, ch'era de' primai, mi die' la mano, e, quando mosse il riso, di luce sparse intorno mille rai.
--Noi siam qui posti, e sempre in paradiso vediamo Dio; e lí la nostra vista 30 sempre contempla il suo eternal viso.
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