Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/392

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386 libro quarto

     Poscia al secondo ciel, che piú risplende,
dall’amorosa scorta io fui condotto;
105e questo l’altro circonda e comprende.
     Lí sta Mercurio, e l’animo fa dotto
nell’eloquenza ed anco signoreggia
sopra agli attivi nel mondo di sotto.
     E, perché l’epiciclo suo attorneggia
110il volto al Sole, il suo lume minore
fa Febo che nel mondo non si veggia;
     ché sempre mai la luce e lo splendore
convien ch’offuschi, manchi e che s’appochi
alla presenza del lume maggiore.
     115Angeli e santi io vidi in mille lochi
giranti su e giú ed ire a danza,
con canti dolci ed amorosi invochi:
     canto, che tanto quel di quaggiú avanza,
che, poi che io torna’ al mondo diserto,
120ogni dolce armonia m’è dissonanza.
     E, perché ben ridir non posso aperto
quello ch’io vidi, vuol però la musa
ch’io ponga fine al mio parlar coperto.
     Il suo comando a me fará la scusa,
125e che nel mondo il ben non è inteso,
dove la ’nvidia la vertude accusa.
     Dacché san Paulo, quando fu disceso
dal terzo ciel dell’amorosa stella,
di quell’arcano, il qual avea compreso,
     130a’ mortali non disse altra novella,
se non:— Io fui e vidi ed io udii
cosa, che di quaggiú non si favella;—
     chi dir potrebbe degli angeli pii
e della venustá, che ’n lor si spande,
135che, a rispetto dell’uom, paiono dii?
     O palazzo di Dio, tanto se’ grande,
che mille miglia e piú ’l Zenitte muta,
quando avvien ch’un quaggiú un sol passo ande.