Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/54

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48 libro primo

     E lasciò tutte e sol me per compagna
seco menòe; e salse tanto ad erto,
ch’ella pervenne in una gran montagna.
     Alquanto andammo lí per un deserto:
alfin venimmo in quel prato fiorito,
105ov’ella te di fiori avea coperto.
     Ella gittossi dov’eri dormito;
e cominciò a dir con pianto amaro:
— O dolce sposo mio, dove se’ ito?
     dove se’ ora, o mio amico caro?
110Oh ti vedessi ’nanti ch’io mi parta,
da che contra il partir non ho riparo!—
     Poi ch’ebbe pianto lí ben una quarta
d’una gross’ora, su in un sasso scrisse
col dardo suo, come chi scrive in carta.
     115E lí lo pose e poi indi partisse;
e per veder te, credo, mille volte
giú per la piaggia mirando s’affisse.
     Iunon le ninfe sue avea raccolte,
e perché Lippea sola v’era manco,
120mandat’avea a trovarla ninfe molte.
     La piaggia tutta non avea scesa anco,
che fu trovata e menata a Iunone
coll’animo ansioso e tanto stanco.
     Non valse a dir che sdegno era cagione
125del suo assentarsi, che creso era piúe
a Invidia il falso, ch’a lei ’l ver sermone,
     che non la fêsse dalle ninfe sue
battere prima, e poscia l’ha mandata
stretta e legata al monte Olimpo in súe.
     130Nel suo partir m’impose esta ambasciata,
la qual t’ho detta; e disse:— Dilli quanto
da lui mi parto afflitta e sconsolata.—
     Tanto negli occhi m’abbondava il pianto,
quando la driada questo mi proferse,
135che non risposi per lo pianger tanto.