Pagina:Galiani, Ferdinando – Della moneta, 1915 – BEIC 1825718.djvu/107

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capo secondo 101


Ora, per terminare, io prego i miei concittadini che, uniformandosi alla veritá, non all’inganno delle voci, si consuolino che la presenza del proprio re abbia fra noi fatte incarire stabilmente le cose, e introdotta quella sontuositá di spese, che è figlia della opulenza e del giro velocissimo del denaro: che riguardino, non con invidia, ma con occhio di disprezzo quel tempo infelice di provincia, in cui i commestibili erano piú vili, perché il denaro era assorbito dalla corte lontana. Prego poi istantemente coloro, che curano la nostra annona, a non lasciarsi condurre in errore dalle voci inconsiderate della plebe, che contro se medesima e i suoi pari stolidamente freme, chiedendo una chimerica grascia, che altro non è che povertá: né vogliano, mettendo i prezzi bassi piú del convenevole, opprimere una innocente parte del popolo impiegata a nutrirci, e, distruggendo i loro moderati guadagni, ricondurci la povertá e la fame col fare risparmiar agli avari quel denaro, che ad altro non è buono che a spendersi in discacciarla.

Il terzo errore è di questi giá detti anche piú pernizioso, facendo ingiustamente accusare il principe di tirannia. Si sente che ogni dì egli accresce i dazi, e questo pare al volgo oppressione e servitú; ma molte volte è falso questo aumento. Ecco perché. L’imposizione suol essere determinata in certa quantitá di denaro, proporzionata sempre al prezzo della mercanzia e ai bisogni dello Stato; e questi bisogni sono le mercedi che il sovrano dá. Quando la moneta aumenta, si conviene accrescere queste mercedi; e, crescendo i prezzi delle merci, non resta la medesima proporzione fra il valor della roba e la dogana di questa; e questo costringe il principe ad accrescere sulla nuova proporzione i dazi, s’egli non vuol fallire. Ma questo non è un vero accrescere: è pareggiare. In tempo d’Alfonso primo furono tutti i nostri antichi dazi aboliti, e ridotti a quindici carlini a fuoco: oggi, oltre le gabelle, pagansi cinquantadue carlini a fuoco. Gli sciocchi invidiano que’ tempi e del presente si dolgono. Miseri che essi sono! Si può dimostrare con evidenza che la moneta sia oggi almeno sette volte di minor prezzo d’allora: dunque que’ quindici carlini sono sopra cento d’oggi. Or che meraviglia,