Pagina:Galiani, Ferdinando – Della moneta, 1915 – BEIC 1825718.djvu/70

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64 libro primo


che usisi a purificarlo, ha forza di fargli fare scoria: il che non è dell’argento, il quale, sebbene resista al piombo, è però roso dall’antimonio e vetrificato. Infine ambedue questi metalli, dopo il piombo e lo stagno, sono i piú pieghevoli, i piú facili a liquefarsi e sono di prodigiosa arrendevolezza. Quella, che rammenta Plinio farsi a’ suoi tempi, è poca, in confronto di quella che oggi si fa. Dice Plinio dell’oro: «Nec aliud laxius dilatatur aut numerosius dividitur, utpote cuius unciae in septingenas et quinquagenas, pluresve bracteas quaternum utroque digitorum spargantur»: cioè d’un’oncia si tiravano 12.000 pollici quadri. Oggi da’ nostri battiloro, secondo le osservazioni accuratissime del francese Reaumour1, si schiaccia un’oncia fino a coprire l’ampiezza di 146 piedi quadri, che sono sopra 21.000 pollici quadrati. Pure questa divisibilitá dell’oro, quale e quanta ella siasi, non è nulla in comparazione di quella che ha l’oro, quando, essendo soprapposto ad indorare alcun metallo, insieme con lui si distende; avendo questa naturalezza, che, sebbene imprima fosse posto sovr’un pezzo di metallo assai corpulento, se questo per le trafile si slunga, l’oro anche indivisibilmente lo siegue, e si comparte sopra tutta la nuova superficie con maravigliosa esattezza ed equalitá. E fino a quanto possa giungere questa di visibilitá, si può intendere dal vedere che un’oncia d’oro indora sensibilmente un pezzo d’argento, che siasi disteso fino alla lunghezza di trecentosessanta miglia italiane. Ma su queste osservazioni, che a pochi oggi saranno ignote, non conviene che piú mi trattenga. Meglio sará che facci conoscere ora quel che pochissimi avranno avvertito, che tutte queste proprietá ad altro non hanno conferito che a render men caro l’oro e l’argento.

Certa cosa è che il lustro e la bellezza sola è quella che fa che gli uomini amino d’ornarsi con oro e con argento; né, quando questi piú presto si consumassero e meno si distendessero, sarebbero perciò le genti disposte ad astenersene; poiché si vede che godono di consumarlo, ed al prezzo piú caro

  1. Nelle Memorie dell’anno 1713, p. 267.