Pagina:Garibaldi - Clelia.djvu/384

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370 il governo del monaco.


palazzo Dogale che dava sulla laguna — in compagnia delle nostre belle romane — di Muzio — Orazio — e Gasparo — ascoltava un vecchio Cicerone che gli narrava le antiche glorie della Republica — e dopo aver parlato d’ogni cosa — giungendo alla descrizione della festa del Buccintoro — esprimeva il rammarico — di non aver più nemmeno la speranza di rivedere una di quelle feste — ed accennava al sito — ove dal molo partiva il legno famoso. —

Seguendo la direzione del dito, l’occhio di Muzio si fermò su di una figura ben conosciuta — che si teneva in piedi in una gondola — coi gomito appoggiato al felze — e stava per approdare ai gradini della piazza.

Sparì Muzio — e in un lampo — comparve al cospetto di Attilio — che scendendo strinse la destra dell’amico — ed appena potè articolare la mesta parola «morto!»

«Dunque era destino, che questo resto di grandezza romana venisse qui a finire» mormorò l’ex-mendico — avendo in parte inteso e parte indovinato la fatale storia — Egli morì da prode» — disse il capo dei trecento. — E molti italiani sanno morire da prodi — pensava Muzio — ma fosse almeno contro i loro oppressori! —