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capitolo xxxiv 167


state, di seguirvi nelle pugne da voi combattute. — E certo voi mi vedrete dar l’ultimo respiro sorridendo, s’io sarò così fortunato di poter dare per voi questa sciagurata esistenza! Ma non mi negate di seguirvi, e sopratutto non mi negate di farmi ammettere sconosciuto nelle fila di quei generosi vostri fratelli d’armi, gloria ed onore d’Italia!»

Dopo un momento di truce posa, egli ripigliò:

«Sconosciuto, sì, sconosciuto, m’intendete, poiché come Talarico, né i vostri amici potrebbero accogliermi, né il mondo compatirebbe un nome infame in quella eroica schiera. Ma io la laverò quell’infamia nel sangue dei nemici della libertà italiana! Laverò quei vent’anni d’una vita di delitti e di vergogne in cui mi aggiogarono i malvagi sostenitori dell’altare e del trono, ossia della menzogna e della tirannide!

«Ove trovasi Marzia?» chiese Lina non più decisa al silenzio, ma disposta ancora al risentimento dagli anteriori procedimenti di Talarico.

«Marzia è in Roma a quest’ora» fu la risposta del Calabrese. «Il più agile dei piroscafi borbonici l’imbarcò la notte scorsa per tal destino.»

Intanto la Sirena solcava l’onda cristallina dello stretto, ed un flebile raggio della luna spuntante dalla frondosa cervice dell’Aspromonte, illuminava l’orientale meraviglia di quelle sponde incantate. — Reggio, che sortendo dall’onde e frammischiando l’aroma delle sue foreste d’aranci a quello della sorella Messene, involve il navi-