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gante in un’ebbrezza di gaudio e d’ammirazione della natura tanto benevole e prodiga a quelle bellissime contrade, sì travagliate in compenso da pessimi governi!

«Non temete voi d’incontrare gente dell’esercito meridionale in Reggio?» disse Lina a Talarico.

Un momento di silenzio e di meditazione seguì le parole della fanciulla.

«Io più nulla temo su questa terra!» rispose l’altero crollando il maestoso e terribile capo. «Nulla! nulla! E voi dunque non mi accettate come servo e come schiavo?»

Vi era tanta eloquenza nelle rozze e superbe parole del brigante! Egli le avea pronunziate con tale accento di disperazione, che la bella figlia di Bergamo ne fu commossa, e quasi senza avvedersene abbandonò la mano a Talarico che la bagnò di baci e d’un torrente di lagrime di gratitudine.

«Grazie, grazie» furono i soli accenti che singhiozzando potè articolare quel protervo bandito, una volta terrore delle calabre contrade ed oggi divenuto più mansueto di un agnello. — Tale è la potenza della donna sul sesso nostro per indurito e depravato che sia.

E quell’uomo, quel brigante che in causa di un’educazione pervertita era stato prima d’ora capace d’ogni atroce delitto, trovavasi in oggi trasformato in altro, capace d’innalzarsi all’eroismo sotto il magnetismo di semplice donzella.