Pagina:Garibaldi - I Mille.djvu/371

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capitolo lvii 347


gere su quel mucchio d’eroi la maggior parte feriti.

Orazio, malgrado la debolezza a cui l’aveva ridotto la ferita della fronte, aveva impugnato un fucile, e fu rovesciato da una palla al cuore mentre puntava. — Finì la vita gloriosa senza un lamento. Ezio cadeva accanto a Orazio, e verso il tramonto, dei nostri conoscenti solo Lina era rimasta illesa. Talarico nel più forte della mischia la copriva col suo corpo e, sdegnando il fucile, quando i più arditi dei nemici nelle loro cariche s’avanzavano a pugnare corpo a corpo, egli aveva trovato una scure, e guai al cafone od al cacciatore su cui cadeva la terribile lama! Anch’egli cadde finalmente!... contento d’averla difesa e beato da uno sguardo di lei nell’ultimo respiro della vita.

Corvo, colla libidine della passione e della distruzione nell’anima, malediva la notte, e malediva anche la bugiarda storia della Sacra Scrittura che contava la favola di Josuè. Scettico e libero pensatore nel fondo della coscienza, egli per un solo filo teneva ancora alla formidabile società di cui era stato sino allora il più saldo sostegno.

Comunque, egli eccitava a tutta possa i borbonici all’assalto. Correva dalle fila dei cafoni ai cacciatori esortandoli in nome del re, ch’ei disprezzava, della religione, ch’egli irrideva, ed in nome del diavolo! Prometteva onori, paradisi, ricompense, e qualche volta ricorreva anche a