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capitolo lvii 351


di tentare un’ultima carica. Ma i suoi soldati, già stanchi ed impauriti dall’intrepidezza dei nostri, abbiam veduto come se la svignarono a gambe, e s’udirono varii dei fuggenti, tanto acciecati dal terrore, che passando vicino ad una pianta e prendendola per un nemico, gridavano: «Signor liberale: mi arrendo, mi arrendo!»

Non fu la sola fuga degli avviliti cafoni, la fortuna del valoroso avanzo dei trecento; ma Corvo stesso, che, come capo supremo, trovavasi a cavallo, e che, rabbioso di non poter spingere i suoi all’assalto, s’era avanzato primo, e venuto alle mani con P..., più forte e più svelto di lui, fu rovesciato da cavallo da una sciabolata attraverso il muso, e consegnato prigioniero nel centro della colonna.

Fu valevole cattura quella del Loiolita; ed alcuni dei villici, che, più vicini a lui, l’avevano veduto cadere, lo diedero per morto; e colla perdita del capo ebbero pretesto di ritirata tutti quei paesani, che preferivano certamente una cena in seno alle loro famiglie — alle avventure guerresche, nelle quali erano stati trascinati dai preti, ed alla gloria del paradiso.

Non così i cacciatori dell’esercito borbonico: trincierati dietro alle barricate, essi sostennero tenacemente l’urto della colonna dei liberi; e solo dopo una mischia accanita, essi volsero le spalle e si arrampicarono sulle falde dei monti, di dove danneggiarono ancora per un pezzo i nostri, e ne turbarono la marcia.