Pagina:Garibaldi - I Mille.djvu/64

Da Wikisource.
40 i mille


Due individui e non più sbarcavano sulla loro terra — proscritti e condannati a morte — spargendo la loro santa propaganda, e senza esitare dirò: con tanta sicurezza come sulla terra d’asilo!

Sappilo, tirannide! e sappi che questa non è terra da spie! Tu hai perduto il tuo tempo, impiegando ogni specie di corruzione! Qui — su questi frantumi di lava — il tuo potere, brutto di sangue e di vergogna, è effimero!

Butta giù quella tua maschera di Statuto, a cui nessuno più crede, e mostrati col tuo ceffo deforme da Eliogabalo o da Caracalla — qui altro non è che questione di tempo — d’anni — che dico? forse di giorni. — Che s’intendano questi ringhiosi discendenti della discordia e della grandezza, e come nel Vespro, in poche ore, verun vestigio resterà più delle vostre sbirraglie.

Rosolino Pilo in una scaramuccia coi Borbonici — mentre i Mille facevano alcune fucilate nelle vicinanze di Renne — fu colpito da un piombo nemico, mentre si accingeva a scrivermi dalle alture di S. Martino, e stramazzò cadavere.

Italia perdeva uno dei più forti di quella brillante schiera, che col loro coraggio e nobile contegno menomano alquanto le sue umiliazioni e le sue miserie.

Corrao, men fortunato di Rosolino, dopo d’aver pugnato valorosamente in ogni combattimento del 60, morì di piombo italiano per gare individuali.

Il generoso popolo della Sicilia, io spero, non dimenticherà quei suoi due prodissimi concittadini.