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Capitolo XXVIII.

Ritirata disastrosa per la Serra.


Intanto la situazione dell’esercito repubblicano peggiorava, ogni dì le urgenze essendo maggiori e maggiori le difficoltà di soddisfarle. I due combattimenti di Taquary e Norte avevano scemato talmente il numero della fanteria che i battaglioni erano diventati scheletri. I soverchi bisogni generavano il malcontento, questo la diserzione. Le popolazioni, siccome succede nelle guerre lunghe, si stancavano e si ammorbavano d’indifferentismo coll’alternare del passaggio e delle esigenze delle forze d’ambe le parti.

In tale stato di cose gl’Imperiali fecero delle proposte d’accomodamento, le quali, abbenchè vantaggiose, considerando le circostanze in cui si trovavano i Repubblicani, non furono accettate, ma respinte con alterigia dalla parte più generosa dell’esercito. Tale rifiuto però accrebbe il malcontento nella parte più transigente e stanca. Infine l’abbandono dell’assedio della capitale e la ritirata furono decisi.

La divisione Canabarro, di cui faceva parte la marina, doveva principiare il movimento e sgombrare i passi della Serra occupati dal generale nemico Labattue, francese al servizio dell’Impero; Bento Gonçales col resto dell’esercito marcerebbe in seguito, coprendo il movimento.

In questo tempo morì il nostro Rossetti, irreparabile perdita! Era rimasto colla guarnigione repubblicana della Settembrina, che doveva marciare ultima; quella gente fu sorpresa dal famoso Moringue, diventato l’incubo dei Repubblicani, e perì in quella sorpresa l’incomparabile Italiano, combattendo valorosamente. Caduto da cavallo, ferito, gli fu imposto d’arrendersi, egli rispose a sciabolate, e vendè caramente una vita ben preziosa all’Italia.