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108 primo periodo.

Tra i contrattempi di quella sventurata notte, il più che mi afflisse fu la diserzione della squadriglia correntina. Villegas, il comandante di quella, simile a tanti altri millantatori da me riconosciuti per tali nella calma e nell’orgia, s’intimorì talmente all’avvicinarsi del pericolo, da risolversi al più degradante ed ignominioso dei delitti: la diserzione in presenza al nemico. Egli poco potea servirmi in un combattimento a lunga portata, essendo i suoi pezzi troppo piccoli, ma il suo aiuto poteva esser grande dovendo ricevere o dare un arrembaggio, giacche il suo equipaggio era composto di gioventù animosa. Poi pratico egli stesso, ed avendo buoni pratici del fiume a bordo, mi era molto giovevole; prezioso infine mi sarebbe stato dopo la catastrofe, per salvare i feriti e fare una ritirata men disastrosa.

Fin dal principio del combattimento io avevo veduto il Villegas impaurito, e gli ordinai perciò di collocarsi dietro la nostra linea, in posizione da non poter esser colpito dai proiettili nemici, e sotto la di lui vigilanza avevo fatto collocare un legno mercantile che dovea servir da ospedale. Verso sera mi fece dire che cambiava di posizione, non ricordo per qual motivo o pretesto. Abbisognando nella notte della cooperazione sua nel lavoro dei brulotti, io lo feci chiamare, ed ebbi la desolante notizia che in nessuna parte si trovava. Non volli crederlo capace di tanto tradimento, ed andai io stesso con leggero palischermo per assicurarmi del fatto. Non trovandolo, mi avanzai alcune miglia verso Corrientes, ma indarno: il codardo ci aveva fuggiti e traditi. Me ne tornai coll’anima rammaricata!

Ben giusto era il mio rammarico, poiché la maggior parte delle piccola barche nostre erano state distrutte nel servizio durante il combattimento. Io contavo quindi sui legni correntini per l’inevitabile ritirata, onde poter salvare i molti nostri feriti ed imbarcarvi i viveri necessari per tutti, trovandoci molto distanti ancora dall’abitata frontiera di Corrientes. L’ultime speranze mi