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Capitolo X.

Luigi Carniglia.


Io voglio parlare di Luigi. E perchè non dovrei parlarne? Perchè plebeo? Perchè nato nella moltitudine di coloro che lavorano per tutti? Perchè non apparteneva all’alta classe, che generalmente non lavora per nessuno e divora per tanti? All’alta classe di cui solo si fa menzione nelle storie senza infastidirsi della plebe vile, che pur produce i Colombi, i Volta, i Linnei ed i Franklin? E non era alta l’anima di Luigi Carniglia? Alta per sostenere dovunque l’onore del nome italiano! Alta nello sfidare una tempesta, siccome i pericoli d’ogni genere, per far bene! Alta infine nel proteggermi, nel custodirmi come un suo bambino nella sventura, quando ero incapace di muovermi, languente, nel punto d’esser abbandonato da tutti! Delirante del delirio della morte, mi si sedeva accanto Luigi, coli’ assiduità, la pazienza d’un angelo; quindi mi lasciava un momento per piangere!

Luigi! le tue ossa, sparse negli abissi dell’Oceano, meritavano un monumento ove il proscritto riconoscente potesse un giorno ricambiarti d’una lacrima sulla sacra terra italiana!

Luigi Carniglia era di Deiva, piccolo paese della riviera a levante di Genova. Non aveva avuto istruzione letteraria nel paese ove il governo ed i preti mantengono diciassette milioni d’analfabeti, ma suppliva alla letteratura con superiore intelligenza. Senza i nautici conoscimenti che fanno il pilota, egli condusse la Luisa sino a Gualeguay senza esservi mai stato, colla sagacia e la fortuna d’un pratico. Nel combattimento contro i lancioni, a lui principalmente dovemmo non esser caduti in potere del nemico. Armato d’un trombone, e posto nel luogo di più pericolo, egli intimoriva gli assalitori. Alto della statura e robustissimo, egli