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capitolo quinto. 429

I miei custodi eran molti. Essi occupavano le isolette del porto dello Stagmitello, ove tenevano una barcaccia da guerra con altre minori, pattugliando in ogni direzione tutta la notte, ma non nella direzione da me scelta per uscire dalle loro unghie.

Era plenilunio, circostanza che rendeva più difficile assai la mia impresa, e secondo i miei calcoli la luna dovea uscire dal Teggiolone (montagna che domina la Caprera) un’ora circa dopo il tramontar del sole. Io doveva quindi profittar di quell’ora per il mio passaggio alla Maddalena, non prima nè più tardi: che prima mi avrebbe tradito il sole, e più tardi la luna. Una circostanza imprevista che mi favorì molto fu la seguente. Maurizio, assistente mio, era andato alla Maddalena in quel giorno e verso quell’ora tornava in Caprera. Un po’ allegro forse non badò al «chi viva» delle barche da guerra che incrociavano numerose nel canale della Moneta, che separa la Maddalena dalla Caprera, e coteste barche lo fulminarono di fucilate che felicemente non lo colpirono. Per combinazione ciò succedeva mentre io stavo operando la mia traversata, favorito pure dal vento di scirocco, le cui piccole ondate servivano mirabimente a nascondere il Beccaccino, che appena usciva d’un palmo dalla superficie del mare.

La mia pratica acquistata nei fiumi dell’America, con le canoe indiane che si governano con un remo solo, mi valse sommamente. Io avevo un remo o pala di circa un metro, con cui potevo remare con tanto rumore quanto ne fanno gli acquatici.

Dunque mentre la maggior parte dei miei custodi si precipitavano su Maurizio, io tranquillamente traversavo lo stretto della Moneta ed approdavo nell’isoletta divisa dalla Maddalena da un piccolo canale guadabile.

Giunsi a greco dell’isoletta e vi approdai fra i numerosi scogli che la circondano quando il disco della luna spuntava dal Teggiolone. Tirai il Beccaccino in terra e lo nascosi nella macchia; poi mi diressi ad