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sè stesso, le circostanze in cui mi nacque l’idea di comporre un poema che soddisfacesse, ad un tempo, il gusto dei lettori, e le esigenze della critica.

Ciò premesso, comincio la mia analisi:

La prima considerazione fu quella della dimensione. Se un lavoro letterario è lungo, così da non poter essere letto tutto in una volta, bisogna che l’autore si rassegni a perdere l’effetto prodigiosamente importante che risulta dall’unità d’impressione.

Infatti se sono necessarie, per la lettura, due sedute, fra queste s’interpongono le mille cure delle vita, e, ciò che si chiama l’insieme, viene distrutto d’un colpo solo.

Ma poichè, caeteris paribus, nessun poeta può privarsi di ciò che vale al proprio intento, non rimane che a vedere se nella lunghezza si possa trovare un qualche vantaggio che compensi la perdita d’unità.

E, subito, rispondo: No!

Quello che si dice un lungo poema, in realtà non è altro che una successione di poemi corti, o, meglio, di effetti poetici brevi.

È ovvio ripetere che un poema è solo poema quando solleva l’anima e le procura una intensa emozione. Da ciò la necessità fisica della breve durata comune a tutte le eccitazioni interne.

Per questa ragione una buona metà almeno del Paradiso perduto non è che pura prosa, non è che una serie di emozioni poetiche interrotte, inevitabilmente, da depressioni corrispondenti; l’opera tutta essendo privata — a causa della sua eccessiva lun-