Pagina:Garrone-Ragazzoni - Edgar Allan Pöe, Roux Frassati, Torino, 1896.pdf/163

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Il corvo, interrogato, risponde col suo ritornello: — mai più — parola che trova un’eco malinconica nel cuore dello studioso; e questi, esprimendo ad alta voce i pensieri che gli sono suggeriti dalla circostanza, è colpito di nuovo dalla ripetizione del — mai più.

Lo studioso si lascia andare a congetture dettate dal caso, ma egli è spinto ben tosto, dall’ardore del suo cuore, a torturare sè stesso, e così, per una specie di superstizione, a proporre all’uccello domande scelte per modo che la risposta attesa, l’intollerabile mai più, debba recare a lui, amante solitario, la più tremenda messe di dolore.

È in questo senso del cuore, spinto a limite estremo, che il racconto, in ciò che io chiamo la sua prima fase, la fase naturale, trova la sua naturale conclusione, e nulla fin qui si è mostrato che esca dai limiti del possibile.

Ma, in soggetti adoperati in tal guisa, con qualunque abilità essi lo siano, con qualunque lusso di incidenti che si possa supporre, c’è sempre una certa asprezza, una crudità che stona all’occhio dell’artista.

Due cose sono continuamente richieste: l’una, una certa misura di complessità o più propriamente di combinazioni; l’altra, una certa quantità di spirito suggestivo, qualche cosa come una corrente sotterranea del pensiero, non visibile, indefinita.

È quest’ultima qualità che dà ad un’opera d’arte quell’aspetto opulento, quell’apparenza solenne che noi, troppo sovente e scioccamente, confondiamo coll’ideale.

È l’eccesso nella espressione di un sentimento che