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pare essere stato il primo regolar sistema musicale de' Greci. Tutto ciò appartiene all’epoca favolosa della Grecia, nel qual tempo i più celebri personaggi della mitologia, erano in fama di musici eccellenti. Abbiamo già parlato di Mercurio, di Minerva, di Pane e d'Apollo; a queste divinità bisogna aggiugnere le Muse, Bacco e le Sirene. I primi aggiunsero alla lira la corda chiamata mese ossia la. In prima non ve n’erano che tre, cioè: mi, fa e sol, chiamate hypate meson, paihypate meson e meson diatonos. Bacco era celebre come suonatore di flauto, e i canti delle Sirene cosi erano lusinghieri che coloro che gli ascoltavano, benché s’avvedessero che la loro rovina era inevitabile, e che il loro canto portava la morte, non potevano sottrarsi al suo potere, e tornava lor dolce il morire al suono di quella musica deliziosa.

(Vers. di C. M.)




POLEMICA.

Al chiarissimo siglior Avvocato

CESARE MELLINI.


Se in una polemica venite attaccato con modi da baruffa villica, non sentite, no, l’inerzia e pronta corre la mano alla penna, ma se un opponente vi risponde colle maniere insegnate dall’urbanità, dal sincero desiderio di rintracciare la verità coll’analisi della discussione, allora l’anima si compone a bonaccia anche nell’urto delle opinioni, e si va adagio; ed io andava adagio pensando a replicare alla garbatissima vostra (1); ma intanto mi preveniva il chiarissimo sig. Geremia Vitali che, nel num. 16.° della Gazzetta, entrò nella questione col molto acume ed urbanità di critica, coll'amore e conoscenza dell’arte a lui abituali nella quistione fra noi iniziata.

Il Vitali si mostrò meco pienamente d’accordo col suo articolo secondo ove, dichiarandovi la dovuta stima, combatte la vostra fede in un attuale ottimismo musicale, al quale non si può certo sottoscrivere, appena appena ci riesca di spogliarci di quell’entusiasmo effimero che, mosso da bellezze posticce, non approvate dal buon gusto, e qualche non rara volta dallo stesso buonsenso, passa talora dalle facili plaudenti masse teatrali anche allo sensato amatore. - Non vogliate dunque ascriver mai a mancanza di estimazione se non do seguito alle osservazioni che avevo promesso di fare sul vostro articolo del num. 5.° Con pari convinzione verrei a ripetervi quanto vi scrive il Vitali e quindi riuscirei forse a noja più che a vantaggio dei lettori della Gazzetta. Solo mi riservo ad aggiungere quel tanto che a mio parere potesse concorrere a sempreppiù convincervi che, mentre è difficile assai assai il determinare qual sia il vero punto culminante del musico-drammatico ottimismo; mentre non è poi la facil cosa il decidere se attualmente si ascenda o si discenda, è però sicuro che ci troviamo sulla china dell’armonico Parnasso, e che noi faremmo un brutto servizio al progredire dell’arte se, invece di mostrare ai giovani quanto manchi e quanto ci voglia di studj per salire in cima, piantassimo il lusinghiero alloro alle falde, o poco più in su dell’erta. A dir vero, mi fermai come chi trova un urto alla propria opinione quando nell’articolo del Vitali mi incontrai col periodo: E vuole in guisa adornarla che le grazie debbano uscire ad una ad una alla vista dell’indagatore quasi premio e mercede della fatica dell’indagine. Ma mi sono quasi riconciliato con lui quando soggiunge che i pregi musicali non debbono di soverchio essere nascosti perchè... Oh! sia pure riposta, sia arcana l' arte sussidiaria del genio, ma non siano riposte le veneri musicali: io mi appello all’anima sensitiva del Vitali stesso, e non mi negherà che, se provò compiacenza nell’indagare, anatomizzare i parti del Bellini, del maestro del cuore per eccellenza, onde ammirarne l’arte riposta, non ebbe certo a durar fatica d’indagine per gustarne le veneri, per sentirne le più vive, le più toccanti sensazioni, ogni volta che gli venne dato di udire la musica del maestro filosofo eseguita con quel calore, con quell’intelligenza che sono riservati agli eletti artisti. Se in altri generi di gusti la facilità trae più presto a noja che a diletto, non è lo stesso, no, ne’ puri e nobili godimenti musicali. - L’uditore dall’anima educata, dal cuore sensitivo, sebben profano alle tecniche ragioni dell’arte, gusta a primo tratto le potenti grazie della musica che parti dal Cuore di un vero genio artistico: l’uomo rozzo, l’uomo che si compiace meglio ai fragori del tamburone, che non alle incantatrici dolcezze melo-armoniche, non saprebbe gustarle quand’anche volesse indagare le riposte cause delle bellezze d’effetto: solo chi alla coltura dello spirito e a bel cuore unisce le cognizioni tecniche de’ misteri dell'arte, oltre all’assaporare, forse più presto che altri, le dolcezze musicali, ha il vantaggio di seguitar poi a godere un diletto di calcolo, di indagine nell’esaminare le artistiche molte della potente macchina. A qual numero dunque di uditori sarebbe riservata la musica le cui grazie sono ritrose, nascoste?... Si suol dire da taluni: la tal musica non si sentì, non si gustò se non dopo due, tre rappresentazioni: la tal opera fece un semifiasco la prima sera, si cominciò a sentirla alla seconda, piacque alla terza, entusiasmò alla quarta: è una musica che bisogna sentire più volte per poterla gustare... ma... non saremmo noi in un grosso errore?... oh sì! bisogna capirla una volta che la musica che non si trova cara, bella, squisita se non alla terza od alla quarta rappresentazione, si gusterebbe in tutta la pienezza del suo possibile effetto alla prima se... se non annunciasero gli Impresarj il Questa sera si recita, prima che gli artisti e cantanti e sonanti l’avessero ben intesa, digerita, imparata a dovere: se si eseguissero le prove alla presenza di persone ben addentro nell’arte ed efficacemente autorevoli, con tutto quell’impegno col quale si esporrebbero gli artisti a piena e temuta udienza: e ciò è quanto non si fa, oso dire, mai!... un po’ di esperienza e l’analisi de’ fatti mi fanno forte nell’asserzione.

E qui sta anche, se non erro, la soluzione dell’enigma: perchè mai un’Opera rappresentata in due capitali a pari grado d’incivilimento, da artisti di pari bravura, faccia non di rado nell’una eccheggiare applausi, faccia nell’altra risuonare i sibili.

E venendo a qualche punto della gentilissima vostra, permettete vi faccia osservare che, ben altro che negar la potenza del genio, mi parrebbe averla inchiusa nelle qualità che asserii necessarie a costituire un eccellente Compositore, giacché vi ho compreso estro poetico, fantasia melodica, ciò che, se mal non m’appongo, equivale appunto a genio: ma non sarei però d’avviso che nemmeno una buona dose di genio possa sopperire ad una gran parte delle qualità da me accennate, e sulle quali mi compiaccio siate voi meco in perfetto accordo.

Chiudo coll’assicurarvi, chiariss. sig. Melini, che, se da un canto vedo difficile assai per chicchessia l’assegnare le distinzioni che io vi dimandava fra la musica meramente melodica, e la musica veramente drammatica, io ritengo avreste saputo accostarvi meglio che non avete fatto quando aveste potuto appoggiarvi a qualche tavola di esempi dimostrativi, come vi suggeriva.

Io però senza tavole verune mi accosto pienamente al vero quando vi assicuro e di stima e di affetto e di vivo desiderio di entrare seco voi in altre discussioni, mentre godo dichiararmi.

Borgomanero, 18 Maggio.

Vostro Divotissimo

Nicolò Eustachio Cattaneo.




DELL’ISTROMENTAZIONE.

ARTICOLO V.


(Vedi i fogli 5, 8, 10, 12, 21, 25, e 26).


Beethoven, avendo considerazione al carattere melanconico e nobile della melodia in la maggiore del suo immortale andante della sinfonia in la, e per meglio rendere quanto quella frase contiene nel medesimo tempo di passionato dolore, non ha mancato di affidarla alle medie note del clarino. Gluk!, pel ritornello dell’aria d’Alceste: «Ah! mal mio grado, il debil cor si scote» aveva prima scritto un flauto, ma conoscendo che il timbro di questo stromento era troppo debole, e mancava della nobiltà necessaria ad esprimere un tema ripieno di tanta desolazione e d'una sì trista grandiosità, egli lo affidò al clarino. Sono altresì i clarini che cantano, nel medesimo tempo che la voce, l'altra aria d’Alceste di un accento sì dolorosamente rassegnato: «Numi implacabili». Effetto d’altro genere risulta da tre lente note de’ clarini in terza nell’aria d’Edipo: «La tua reggia è il mio rifugio». Questo è verso lo scioglimento del tema: Polinice prima di proseguire il suo canto, si rivolge alla figlia di Teseo, poi riguardandola, soggiugne: «Io vidi ed adorai Erifil bella». Que’ due clarini in terza discendenti dolcemente sino all’entrata della voce, nel momento che i due amanti si ricambiano un tenero sguardo, sono d’una eccellente intenzione drammatica, e danno uno squisito effetto musicale. Le due voci istromentali sono in questo luogo un emblema d’amore e di purità. Ascoltandole, si crede vedere Erifile pudicamente abbassare le pupille: è cosa veramente mirabile! Questo delizioso effetto d’orchestra manca però nello spartito stampato di Sacchini; ma troppo l’ho io sovente rimarcato alla rappresentazione, per non tenermi sicuro della mia memoria.

Nè Sacchini nè Giuli, nè alcuno dei grandi maestri di quest’epoca cavarono partito dalle gravi note del clarino. Io non ne so indovinare la ragione. Mozart sembra il primo che le abbia rese utili,

  1. Gazzetta Musicale, num. 19.